NotizieChicas Bici-bles: equità di genere a 2 ruote

Cristina è una delle 15 Chicas Bici-bles (gioco di parole in spagnolo che suona più o meno come: ragazze bici-visibili), che grazie al progetto omonimo hanno imparato ad usare la bicicletta non solo come mezzo di trasporto sostenibile, ma anche come uno strumento di promozione dei propri diritti, in grado di dare valore e visibilità alla loro presenza nella comunità e di rompere le barriere culturali relazionate con gli stereotipi e con la discriminazione di genere

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Cristina non ha bisogno di alzarsi sui pedali per affrontare la salita sterrata che conduce alla scuola Telesecundaria. Dalla costa dove la stiamo aspettando la vediamo azionare il cambio in cerca di un rapporto più leggero. Immediatamente la pedalata diventa più sciolta e un sorriso di soddisfazione si apre sul suo viso. A non più di trecento metri in linea d’aria, stormi di grandi avvoltoi dal collo spelacchiato sorvolano sinistramente i rifiuti in cerca di cibo.
Quando ci raggiunge ha un po’ di fiatone, anche se fa molto caldo indossa il casco e il gilet catarifrangente. È piccola di statura, intorno al metro e cinquanta, ha le guance arrossate e i capelli lunghi e neri, come anche gli occhi.
Cristina è una delle 15 Chicas Bici-bles (gioco di parole in spagnolo che suona più o meno come: ragazze bici-visibili), che grazie al progetto omonimo hanno imparato ad usare la bicicletta non solo come mezzo di trasporto sostenibile, ma anche come uno strumento di promozione dei propri diritti, in grado di dare valore e visibilità alla loro presenza nella comunità e di rompere le barriere culturali relazionate con gli stereotipi e con la discriminazione di genere.
Nelle immediate vicinanze della più grande discarica dello Stato di Oaxaca, in Messico, vivono oltre 15.000 persone. Nella zona si registrano gravi problematiche sociali, economiche e ambientali. I bambini e gli adolescenti che incontriamo nelle scuole dove realizziamo attività educative, di formazione e di sensibilizzazione sono uno dei gruppi più vulnerabili, essendo spesso vittime di violenza e discriminazioni, oltre a non aver accesso a spazi di espressione e partecipazione che gli consentano di sviluppare abilità e conoscenze fondamentali per la loro vita futura.
Nei quartieri precari che circondano la discarica i giovani, in particolare le ragazze, sono esposti a fenomeni di violenza fisica, sessuale e psicologica. Ciò avviene sia nell’ambito familiare, che nei luoghi chiave della comunità di riferimento come la scuola, il quartiere e il posto dove si svolgono attività lavorative informali. Le discriminazioni e le diverse manifestazioni di violenza si abbinano inoltre ad altri due fattori negativi: la stigmatizzazione sociale e la totale dipendenza dagli adulti. Da un lato infatti esiste una percezione generale molto negativa sugli adolescenti, che vengono associati con la delinquenza, il consumo di sostanze e il vandalismo. Dall’altro osserviamo la scarsa o nulla autonomia dei giovani, ben evidenziata dall’impossibilità di recarsi in altri quartieri per incontrarsi con i loro pari, a causa del costo elevato e della pericolosità del trasporto locale.
La violenza, le discriminazioni, la stigmatizzazione e l’assenza totale di autonomia sono le ragioni principali per le quali quasi l’80% delle ragazze che partecipano ai nostri progetti, secondo uno studio realizzato nel 2015, presenta un livello di autostima basso o molto basso.
Da un punto di vista socio-educativo questo è un aspetto centrale, poichè la mancanza di fiducia in se stessi impedisce ai giovani di sviluppare il proprio potenziale umano e li rende ancor più vulnerabili alle situazioni di abuso e alle ingiustizie.
In considerazione di ciò, il lavoro che facciamo insieme ai gruppi di adolescenti che abitano ai margini della discarica di Oaxaca, consiste nell’immaginare soluzioni innovative per problematiche altrimenti insolubili, cercando di realizzare progetti che abbiano la capacità di cambiare il paradigma e non solo di migliorare per un determinato periodo le condizioni di vita dei loro beneficiari. In tal senso, il progetto Chicas Bici-bles sta producendo buoni risultati:
“Quando abbiamo iniziato a partecipare al programma – racconta Cristina - io e le altre ragazze eravamo intimorite, le biciclette ci sembravano enormi. Ho avuto una bicicletta quando ero bambina, quindi piú o meno giá sapevo usare la bici, ma la maggioranza delle mie compagne non lo sapeva fare e avevano paura di cadere.”
“In realtá, grazie ai corsi, non é stato per niente difficile imparare o perfezionarsi. Oggi organizziamo da sole le nostre uscite in bici e facciamo da sole anche piccole le riparazioni e la manutenzione.”
“Oltre alla bicicletta poi ci sono i corsi di fotografia, di teatro, di graffiti e organizziamo attività ludiche nelle nostre comunità, come il cinema all’aperto e i mercatini. Abbiamo anche ricevuto varie formazioni, come quelle sulla salute sessuale e sul lavoro in equipe.”
Chiediamo a Cristina cosa è cambiato da quando ha iniziato ad usare la bici.
“Le bici ci permettono di muoverci in maniera sicura ed economica, inoltre ci piace molto che quando passiamo la gente del quartiere ci riconosca come le Chicas Bici-bles”
“Credo che il nostro gruppo sia uno stimolo positivo per molte altre ragazze della nostra età, ma anche per le donne più adulte di noi. Spero che la bicicletta si diffonda sempre di più in questa zona perchè usare i moto-taxi è caro e pericoloso, mentre in bici non corri alcun rischio, fai esercizio fisico e ti puoi muovere abbastanza rapidamente.”
“Ora anche mia madre partecipa al programma, visto che da circa due mesi è stato aperto anche alle donne adulte. Fa parte di un primo gruppo di 8 signore che hanno già ricevuto le loro biciclette e ora stanno seguendo il corso di ciclismo. Sta imparando ad andare in bici: di sera a volte mi chiede consigli su come frenare su una discesa sterrata, o su come gestire il cambio in salita. Io le spiego quello che ho imparato. È strano, perchè una cosa del genere non era mai successa.”
Prima che se ne vada con altre due ragazze del gruppo che nel frattempo ci hanno raggiunti, le chiediamo come spiegherebbe la sua passione per la bicicletta a una coetanea di un altro paese. La risposta è immediata e spontanea come il sorriso che l’accompagna: “usare la bici mi fa sentire bene, mi sento libera e ho più fiducia in me stessa. Quando pedalo ho la sensazione di avvicinarmi ai miei sogni!"

(emiliano cottini, cooperazione internazionale Gruppo Abele, Messico)

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