NotizieLa comunità, un'importante funzione sociale e politica

Per poter raccontare parte della nostra esperienza di comunità riteniamo oggi fondamentale iniziare con il domandarci se un percorso comunitario è ancora rispondente alle richieste e alle pressioni dei nostri tempi

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La comunità genitore-bambino del Gruppo Abele  si pone come momento di accoglienza della donna e dei suoi figli provenienti da contesti di disagio, violenza e/o abuso e si colloca come un intervento all'interno di una strategia di rete più complessa e articolata. Per poter raccontare parte della nostra esperienza di comunità riteniamo oggi  fondamentale iniziare con il domandarci se un percorso comunitario è ancora rispondente alle richieste e alle pressioni dei nostri tempi. Se infatti le comunità nascono in un’epoca dove si coglieva la difficoltà di trovare risposte individuali a problemi di ordine sociale, oggi invece le questioni collettive e sociali sembrano poter essere affrontabili principalmente su un piano individuale. Di fronte a tale scenario, vivere in un contesto comunitario sembrerebbe  essere molto distante da questa prospettiva proponendo apparentemente uno stile relazionale non tanto al passo con i tempi. Questo tipo di ricerca di senso coinvolge molto, sia gli educatori delle comunità che gli operatori dei servizi invianti: sono sempre più numerosi i servizi alternativi alla comunità che hanno la prerogativa di essere più brevi, tecnici, economici e “al passo con i tempi”.
Non è nostra intenzione disconoscere il bisogno e l’importanza di tali differenti interventi nell’accogliere le fragilità e i disagi delle persone ma diventa fondamentale per noi educatori della comunità interrogarci e chiederci chi siamo oggi e dove stiamo andando per non perdere il senso del lavoro che facciamo insieme alle persone accolte.
La comunità genitore-bambino in particolare si trova oggi chiamata ad accogliere donne con problemi molto specifici e differenti tra loro così da rendere apparentemente difficoltosa una proposta omogenea di trattamento. Molte e differenti sono le difficoltà incontrate: la trascuratezza verso i propri figli, l’uso più o meno massiccio di sostanze stupefacenti, la fuga e la denuncia di situazioni di forte violenza intrafamiliare.
La grande varietà di bisogni e vulnerabilità che hanno portato alla richiesta di un percorso comunitario è il principale motivo della differenziazione dei percorsi offerti dalla comunità. I progetti educativi individualizzati tendono così ad essere sempre di più alla stregua di un abito sartoriale cucito addosso alle persone. Un elemento invece trasversale a tutti i percorsi si ha nel fatto che sempre più spesso venga chiesto alla comunità di promuovere, accompagnare e sostenere l’autonomia dei nuclei accolti.
Il raggiungimento dell’autonomia diventa così il premio ambito che certifica che un percorso è andato bene.
Partendo dall’etimologia della parola (autós e nómos) si rimanda alla condizione di chi “detta legge a sé”. E’ però paradossale rilevare come molte delle mamme che accogliamo siano rimaste “ingarbugliate” in quella che appare come la condizione estrema dell’autonomia ovvero l’illusione del pensare di poter fare a meno degli altri e di bastare a se stesse.
Questa condizione è evidente nella totale discrasia tra un’iperconnessione virtuale con centinaia di “amici/contatti” su Facebook o su Instagram e la corrispondente mancanza, in alcuni casi quasi totale, di una rete familiare o amicale a cui poter attingere. Solitudine estrema di cui sono, ovviamente, ancor più vittime i bambini delle mamme che incontriamo.
Crediamo allora che proprio in questo contesto la comunità possa nuovamente esprimere il messaggio che una buona esistenza umana è possibile solo dallo stare insieme in interdipedenza con le altre persone e che la comunità rende possibile sperimentare un tipo di convivenza sociale diverso da quello abituale. Si propone come contesto che, pur nelle differenze delle singole individualità, consente la realizzazione di una socialità contraddistinta da diritti, doveri e corresponsabilità reciproche.
Ciascuna persona diventa pertanto responsabile del buon “clima” comunitario. Non si chiede al singolo di annullarsi per un bene più grande (il gruppo) ma anzi di contribuire con la propria esperienza e confrontando la propria individualità con gli altri. Ciò è tanto più possibile quanto si riesca a promuovere un minimo di appartenenza alla comunità stessa che consenta di trascendere per un attimo i propri esclusivi interessi individuali.
Il bisogno di riappropriarsi dell’interdipendenza è oltremodo evidente nell’incontro con alcune donne che hanno subito violenza in ambito intrafamiliare e i loro figli a cui la comunità è chiamata a fornire la prima, necessaria, protezione.
Questa proposta progettuale appare talvolta una scelta apparentemente inappropriata per la donna che oltre ad aver subito la violenza si trova sradicata dalla propria vita.
La nostra esperienza invece ci dice che è proprio in questi contesti che la comunità spesso riacquisisce con forza la propria possibilità di cura (intesa come possibilità di provare a cicatrizzare almeno in parte le enormi ferite emotive, e non solo, che si portano dietro le mamme e i loro bambini dalle situazioni di violenza). E la cura che propone è semplice quanto pregnante e consiste ancora una volta nel valorizzare la relazione.
Le situazioni di violenza nascono e crescono  infatti spesso in contesti di isolamento. La violenza fisica è solo una tra le violenze adottate. Sono le violenze psicologiche, economiche, sociali a consentire l’emergere e la strutturazione di quel deserto relazionale dove manca la possibilità di un amico che sostenga o intervenga, o di un vicino che ascolti e poi denunci.
Il percorso comunitario allora può e deve contribuire in queste situazioni a creare una nuova rete sociale di riferimento accompagnando e sostenendo la donna, oltre che nella possibilità di legittimarsi a denunciare ciò che ha subito, anche nel ricostruire la propria autonomia in un contesto di interdipendenza che, come una sorta di sentinella sociale, non faccia sentire lei e i suoi figli soli. La comunità pertanto per poter fare ciò è chiamata a rinunciare per prima  alla propria totale autoreferenzialità per essere sempre più immersa nel proprio territorio di riferimento. Se da una lato deve essere una forte e costante barriera protettiva dai possibili pericoli esterni dall’altro deve essere anche permeabile.
Un elemento per noi fondamentale è la possibilità di far parte all’interno della nostra Associazione dell’Area tematica nella quale convergono i servizi che si occupano di Vittime e Vulnerabilità. Questo terreno comune ha consentito un confronto costante e stimolante tra operatori di servizi differenti nel corso del tempo che ha consentito di provare ad osservare i disagi che incontriamo da punti di vista talvolta anche molto differenti.
La nostra equipe, inoltre, negli ultimi due anni ha accolto la possibilità di accompagnare alcuni percorsi anche in un progetto successivo a quello comunitario vero e proprio.
Volontari, tirocinanti, possibili datori di lavoro, ma anche i parenti ed i partners, non violenti, delle donne componenti il gruppo in percorso oltre ad essere implicati nella comunità contribuendo a   renderla più “viva” hanno anche costituito quel tessuto sociale ponte prezioso nei percorsi di autonomia intrapresi.
È cosi che allora la comunità può agire un processo di empowerment sulle donne accolte e sui loro bambini. Attingendo al pensiero di Baumann, possiamo definire tale concetto come l’essere capaci di compiere scelte e di agire efficacemente in base alle scelte compiute. Lo stesso Baumann però mette in guardia dal fatto che questo empowerment "richiede la costruzione di vincoli intersoggettivi, ovvero la volontà e la capacità di relazionarsi agli altri nello sforzo continuo di rendere la coabitazione tra gli esseri umani un ambiente ospitale ed amichevole, nel quale uomini e donne che lottano per l’autostima possano cooperare reciprocamente allo sviluppo del loro potenziale e dell’uso appropriato delle loro capacità". L’aspetto decisivo dell’educazione finalizzata all’empowerment allora "è la ricostruzione dello spazio pubblico nel quale uomini e donne si possano impegnare in una composizione tra interessi, diritti e doveri, individuali e comuni, privati e comunitari". In tal senso la comunità scopre di avere ancora molte cose da dire e di rivestire, a pieno titolo, un’importante funzione sociale e politica.

(mauro melluso, Comunità mamma-bimbo Gruppo Abele)

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