NotizieLasciti: una storia che parla di futuro

I lasciti sono uno strumento che permette di continuare a segnare il cammino anche quando non ci saremo più, che continuerà a parlare di noi e del noi anche quando non saremo in prima persona a testimoniarlo. Parlare di lasciti non è parlare di morte. E' testimoniare la grandezza della vita, celebrarla insieme a chi, seppur non fisicamente, sarà presente nella vita e nelle opportunità da dare agli altri di continuare a credere in questo "noi", nel senso più vero dello stare insieme, del fare comunità

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Questa è una storia che parla di futuro.
E di vita, di coraggio, di persone da guardare in faccia e che si guardano in faccia, perché a volte i fatti della vita ti costringono ad interrogarti e tu non puoi far altro che esserci, impegnarti, diventare punto di riferimento.
Questa storia è stata raccontata a me e ad altre 30 persone che l’8 settembre hanno partecipato ad un incontro con don Luigi Ciotti,fondatore del Gruppo Abele, che aveva come tema i lasciti testamentari. Avevamo organizzato l’incontro insieme all’ufficio fundraising del Gruppo Abele perché,i lasciti servono, come servono le donazioni, perché le attività del Gruppo Abele crescono,e i fondi aiutano a realizzare azioni concrete per chi fa più fatica.

“Si parlerà di come fare un lascito..?”, credo abbiano pensato un po’ tutti gli invitati. E invece abbiamo ascoltato una storia, che è quella di don Luigi e del Gruppo Abele e in fin dei conti di tutti noi.
Una storia che è partita a Torino, quando Luigi Ciotti, appena diciassettenne, incontrò un uomo che viveva per strada e che anziché concentrarsi sulla propria fatica e sul proprio doloroso vissuto, indicò a Luigi ciò che aveva intuito: a Torino era arrivata la droga, tanta, e i ragazzi la consumavano nei bar, senza capirne le conseguenze, senza nessuno a cui rivolgersi.

Da quella esperienza nacque il Gruppo Abele, dice don Ciotti. A Natale del 1965 un gruppo di persone decise che non era possibile far finta di nulla, girarsi dall’altra parte. E così nacque il Centro Droga che ospitò, in due anni, 4000 persone che potevano mangiare, trovare un posto per la notte e un po’ di normalità - persone le cui storie sono oggi uno degli archivi sociali più importanti del nostro Paese, un pezzo della storia torinese e non solo.

E poi l’appartamento per aiutare le ragazze che si prostituivano a uscire dallo sfruttamento, grazie anche al coraggio di una signora torinese che concesse in affitto la sua casa, in via Valdieri. E la villa in collina che venne utilizzata come prima casa di accoglienza per i malati di AIDS, quando ancora non se ne parlava e, soprattutto, quando di AIDS si moriva, sempre. Il tavolo della cucina di quella casa – di quelli antichi, con il marmo e la prolunga per fare la pasta – è oggi l’altare della chiesa della Certosa 1515, sopra i laghi di Avigliana. Attorno a quel tavolo ci erano passati, avevano mangiato, giocato, lottato, quei 110 ragazzi malati di AIDS che oggi non ci sono più e che meritano di essere ricordati in un modo speciale e concreto.Perché è stato meraviglioso condividere pezzi di vita con loro, dice don Luigi.

Perché c’è bisogno di tutti. Di tutti, ripete. Perché è la comunità fatta di persone generose, con menti aperte che salva. La comunità che è fatta del noi, non di navigatori solitari, perché è solo con il noi che si costruisce.
Perché c’è un dovere e una responsabilità nel dare una risposta ai cambiamenti e alle fragilità e alle fatiche, e non possiamo sottrarci. Occorre imparare “il coraggio di avere più coraggio”, per farsi motore e moltiplicatori del noi. C’è una storia che parte da questo Gruppo, dice don Luigi. Che è fatta di tutti i volti di chi, ogni giorno, un pezzetto per volta, ha dato e continua a dare vita al noi.

I lasciti sono uno strumento che permette di continuare a segnare il cammino anche quando non ci saremo più, che continuerà a parlare di noi e del noi anche quando non saremo in prima persona a testimoniarlo. Parlare di lasciti non è parlare di morte. E’ testimoniare la grandezza della vita, celebrarla insieme a chi, seppur non fisicamente, sarà presente nella vita e nelle opportunità da dare agli altri di continuare a credere in questo “noi”, nel senso più vero dello stare insieme, del fare comunità.
Nelle parole di Don Ciotti, negli occhi e nell’attenzione delle persone che hanno partecipato all’incontro c’era il noi. E’ stato un regalo prezioso esserci.

Grazie, a don Luigi per essere quello che è e fare quello che fa, al Gruppo Abele, ai suoi donatori, ai volontari, agli operatori, a tutti coloro che dalle porte del Gruppo Abele passano, anche solo per un momento. Perché sentirsi parte di una comunità è la ricchezza e l’essenza della vita da celebrare anche con un gesto generoso che parla di futuro, come un lascito.

p.s. esiste una pagina dedicata sul sito del Gruppo, dove ci sono informazioni, guide, notizie sui progetti a cui vengono destinati i lasciti al Gruppo Abele. Il mio invito è a dare un’occhiata, perché la vita va celebrata, sempre.

(simona biancu, Engagedin - collabora con l'ufficio raccolta fondi del Gruppo Abele da gennaio 2017)

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