NotizieSognare vale la pena: qui, ora

Il destino di un Paese è indissolubilmente legato a quello delle sue giovani generazioni. È necessario rimettere in moto la ruota, occorre dimostrare di voler ricostruire le condizioni affinché i giovani, possano tornare a sentire che è possibile trovare opportunità di realizzazione, che è possibile sognare di poter crescere liberi, e felici. E sentire che vale la pena farlo qui, ora

  • Condividi

*** Pubblichiamo il primo di una serie di editoriali dedicati alla condizione giovanile in Italia. Tutte le riflessioni sono a cura del Piano Giovani del Gruppo Abele che lavora ogni giorno a stretto contatto con i ragazzi, ovunque essi siano: nelle scuole, nelle periferie, nei campi di calcio ***

Davvero, come sostiene qualcuno, per occuparsi dello sviluppo di un Paese è necessario occuparsi dello sviluppo delle sue giovani generazioni? Sembrerebbe di sì se, al di là del tema che decidi di affrontare (lavoro, scuola, relazioni, uso di internet, tempo libero, divertimenti, …) provi a guardare dentro al mondo nel quale vivono i giovani di oggi. E trovi che gli articoli, i libri, i dati, le analisi che quotidianamente vengono pubblicati sembrano raccontare diverse facce di uno stesso fenomeno: l’estrema difficoltà e complessità del contesto nel quale si trovano a crescere i giovani oggi. È un mondo difficile, questo lo sappiamo da tempo, ma, forse, crescere in questo mondo è impresa ancora più difficile che viverci!
Chi guarda alle vicende dei giovani con un certo grado di distacco forse non si trova così d’accordo, eppure occorre chiedersi: i giovani vengono educati ad affrontare una tale complessità? Quali strumenti e abilità possono permettere ai giovani di affrontare le sfide di oggi? Quali competenze possono metterli in grado di cogliere le opportunità che ci sono?
Veniamo da circa 70 anni di crescita economica progressiva, dagli anni Sessanta siamo abituati a considerarci una società benestante, e per molti versi così è ancora: ma come la ruota del vasaio continua a girare ancora molto tempo dopo che si è esaurita la spinta, così  le condizioni materiali stanno peggiorando velocemente. La disoccupazione giovanile è al 39%, oltre 1 milione 500 mila bambini vivono in condizioni di povertà, il numero dei neet ha superato i 2 milioni, il numero di giovani che rimane a vivere in casa coi genitori è il più alto d’Europa (7 su 10 tra i 18 e i 34 anni): è evidente ormai che  le prospettive di vita dei figli siano peggiori di quelle dei genitori. È la prima volta che accade, dal dopoguerra ad oggi. Se è vero che la prima condizione per la libertà delle persone è l’affrancamento dalle deprivazioni causate dall’assenza di reddito e di diritti fondamentali: quali persone, quali cittadini stiamo crescendo?

Ma, oltre alle condizioni materiali, quello che troviamo più preoccupante dal punto di vista della cura dei percorsi di crescita è la difficoltà estrema ad essere sufficientemente attrezzati per affrontare la sfida cruciale del divenire adulti: essere in grado di riconoscere quei desideri che ti spingono ad andare oltre, riuscire a dar forma a un sogno e impegnarsi per realizzarlo; potere, in fondo,  dare un senso al proprio stare al mondo. È dentro questo snodo, crediamo, che si ritrova la radice alla base di molti dei fenomeni che stanno attraversando il mondo dei giovani: i tanti, oltre 100 mila nello scorso anno, che emigrano, sono qualificati e formati e partono verso l’estero alla ricerca della propria soddisfazione e realizzazione personale (millennials);  chi sente che non ce la fa più ad affrontare il mondo là fuori e si ritrova in condizioni di ritiro sociale (hikikomori); i tantissimi che non trovano né lavoro né la motivazione per spendersi nella formazione (neet); le tante situazioni, che fanno male e  spesso finiscono nella cronaca, in cui l’uso problematico del proprio tempo si riempie di esperienze (siano legate all’uso di sostanze o siano nelle relazioni - affettive, fra pari, intergenerazionali, reali o digitali) consumate  e gettate via frettolosamente senza riuscire a scoprirne il senso prezioso.
Che cosa si può fare in una situazione simile? Il lavoro educativo può fare molto: l’esperienza quotidiana nelle scuole e nei contesti disagiati di periferia ci permette di poter dire che è possibile instaurare relazioni significative, anche nelle situazioni più difficili. Attraverso una presenza di riferimenti educativi nei luoghi in cui i giovani crescono, la fiducia e la motivazione a prendersi cura di se stessi, si possono perseguire. È possibile, così, allestire contesti che permettano alle persone di ripartire: quando genitori, insegnanti, educatori, allenatori sportivi, chi ha una responsabilità educativa evidente, riesce ad  assumere fino in fondo la responsabilità di cui è portatore, affronta le fatiche e le paure dell’inadeguatezza nei confronti delle difficoltà del compito, e condivide con altri il peso, la gioia, gli strumenti per occuparsi dell’educazione dei giovani.

Accanto a questo, occorre dirlo, è però necessario un altro passaggio. È necessario che il Paese nel suo complesso, nelle sue scelte strategiche, rimetta al centro le questioni dell’educare, rimetta al centro dei suoi pensieri e investimenti l’istruzione, la lotta alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, la cura dei percorsi di crescita. È qui, dove l’educazione sola non può arrivare, che diventa evidente come il destino di un Paese sia indissolubilmente legato a quello delle sue giovani generazioni. È necessario rimettere in moto la ruota, e per farlo occorre uno sforzo complessivo: per superare questa fase di disorientamento occorrono segnali forti, interventi profondi. Occorre dimostrare di voler ricostruire le condizioni affinché i bambini, ma soprattutto gli adolescenti e i giovani, possano tornare a sentire che è possibile trovare opportunità di realizzazione, che è possibile sognare di poter crescere liberi, e felici. E sentire che vale la pena farlo qui, ora.

(kristian caiazza, responsabile del piano giovani del Gruppo Abele)

Cosa facciamoDa sempre accanto agli ultimi