NotizieUngass 2016: molto fermento dietro il compromesso

Aspettativa delusa per i risultati della Sessione speciale sulle droghe dell'Assemblea generale dell'Onu (Ungass), svoltasi a New York dal 19 al 21 aprile scorso. Vana l'attesa di avere un risultato straordinario da una sessione "straordinaria"

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Aspettativa delusa per i risultati della Sessione speciale sulle droghe dell’Assemblea generale dell’Onu (Ungass), svoltasi a New York dal 19 al 21 aprile scorso. Vana l’attesa di avere un risultato straordinario da una sessione “straordinaria”, che ha visto riuniti per l’ultima volta tutti i leader mondiali nella lotta alla diffusione delle sostanze stupefacenti nel 1998. Non si sono registrati significativi passi avanti rispetto alla modifica delle Convenzioni internazionali e le decisioni sono state rimandate all’incontro del 2019. Il fatto che l’Assemblea abbia approvato - in apertura e prima di ogni confronto - la dichiarazione conclusiva, su cui le diplomazie avevano già trovato l’accordo dopo un lungo negoziato preliminare, ha diminuito di significatività e soprattutto sottratto potere decisionale a tutti i partecipanti.
Il dibattito generale che ne è seguito, pur paradossale, è stato comunque vero e vivace. Nel confronto sono emersi molti distinguo e prese di distanza dalla dichiarazione (che non è una risoluzione e assume pertanto un valore meno vincolante) per la prossima sessione “ordinaria” del 2019.
Si è registrata una divaricazione, probabilmente ormai incolmabile, tra le posizioni dure di Cina, Giappone, Russia, Iran ed Egitto (Paesi capofila di gran parte dell’Asia e dell’Africa che, fautori di una linea repressiva, sostengono la pena di morte per i reati connessi alla droga) e i Paesi latino-americani che hanno rivendicato la strada della riduzione del danno non solo come un necessario riequilibrio “dal penale al sociale” e insieme di interventi socio-sanitari, ma più complessivamente come un orientamento delle politiche pubbliche sul consumo di sostanze psicoattive.
In Assemblea è stata attuata la scelta di non riformare le Convenzioni internazionali (anche da parte dell’Uruguay, sostenitore che la propria volontà di legalizzare la cannabis non sia incompatibile) e di tollerare le differenziazioni delle politiche dei Paesi aderenti, all’interno di una “flessibilità” consentita dalle Convenzioni stesse. Il dibattito avviato tra le Organizzazioni non governative (Ong) è stato, al contrario, maggiormente orientato a chiedere proprio la modifica delle Convenzioni. Il confronto tra le Ong ha evidenziato l’importanza di riportare e mantenere le politiche antidroga all’interno dei principi generali delle Nazioni Unite, sotto l’egida del rispetto dei diritti umani e della congruenza con le strategie di sviluppo sostenibile.
La delegazione italiana, anche per via del lavoro preparatorio per il quale il Cartello di Genova si è molto speso all’interno del Dipartimento antidroga, è stata capitanata dal ministro della Giustizia Orlando che, battendosi contro la pena di morte, sostenendo la depenalizzazione del consumo e la necessità di politiche non ideologiche ma pragmatiche sulle droghe, ha qualificato la posizione italiana all’interno di una presenza europea che, a sua volta, è apparsa timida e in ombra rispetto al dinamismo dei Paesi latino-americani più esposti.
Molti Paesi, soprattutto in America, stanno portando avanti le loro scelte. Altri le stanno per attuare (Canada, California…). Le sperimentazioni sono un fatto. Il dibattito formale, in sede Onu, è stato aperto ed è ineludibile. I tre anni che separano dal 2019 risulteranno, se non decisivi, estremamente importanti. Se ancora di compromesso si tratterà, non potrà più essere al ribasso.

(leopoldo grosso, presidente onorario Gruppo Abele)

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