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NotizieViolenza di genere: un anno di Opportunity

Il progetto Opportunity è ormai arrivato al primo anno di lavoro con le persone accolte e pertanto questo è diventato per noi il tempo delle riflessioni su ciò che è stato fatto ma anche su ciò che ancora per molti motivi si può fare

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Settembre è uno dei momenti nell’anno in cui è più frequente fare il punto di ciò che è stato e progettare quel che sarà o che vorremmo che fosse.
Il progetto Opportunity, sostenuto con i fondi otto per mille  della Chiesa Valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi), è ormai arrivato al primo anno di lavoro con le persone accolte e pertanto questo è diventato per noi il tempo delle riflessioni su ciò che è stato fatto ma anche su ciò che ancora per molti motivi si può fare.

Per condividere l’esperienza maturata occorre sottolineare che il percorso residenziale si è orientato a uomini che agiscono o hanno agito maltrattamenti in ambito intrafamiliare ma anche a coloro che vogliono trattare la propria aggressività. È significativo che, all’inizio di questa esperienza, così sperimentale rispetto ai progetti attualmente presenti sul nostro territorio, non era raro che ci venisse chiesto (e che noi stessi ci  chiedessimo) perché spendere risorse per uomini che agiscono violenza nel momento in cui sono ancora molte le cose che si possono fare in più per le donne che la subiscono. Per poter “sopportare” il peso di queste, legittime, osservazioni è stato per noi fondamentale mantenere sempre coscienza del fatto che Opportunity non solo non disconosceva tale prospettiva ma addirittura se ne considerava parte.  L’obiettivo fondamentale che ha guidato il nostro lavoro infatti è stato quello  di contribuire alla riduzione di contesti dove si esercitava violenza di genere, in tutte le differenti e pervasive declinazioni in cui essa può manifestarsi, attraverso la responsabilizzazione degli uomini incontrati e la proposizione di differenti modalità di convivenza non basate su rapporti di prevaricazione. Le prime risposte dai percorsi intrapresi hanno evidenziato la cessazione dei comportamenti violenti per gli uomini accolti nell’esperienza residenziale. Solo con il tempo però potremo renderci conto della rinnovata presenza di comportamenti aggressivi recidivanti oppure, come ci auguriamo, della loro assenza. Non possono esserci garanzie “a priori” circa il fatto che il percorso porterà alla fuoriuscita dalla violenza, troppe sono le variabili che si accavallano. E siamo consapevoli che, nell’assenza di esperienze consolidate, ci si muova su un terreno molto delicato. Tuttavia pensiamo che per dare risposte sempre più convincenti al drammatico fenomeno della violenza di genere, sia imprescindibile adottare un sistema di risposte differenti ma sinergiche rispetto questo unico obiettivo, provando anche strade nuove. Lo stesso sistema della rete a favore delle vittime di violenza, pur consolidato ormai da parecchi anni, non può garantire del tutto la fuoriuscita delle vittime dai circuiti della violenza. In tale ottica Opportunity costituisce solo uno dei vari segmenti possibili. Questa considerazione è peraltro supportata e stimolata da diverse raccomandazioni di organismi internazionali come ad esempio, una per tutte, la famosa Convenzione di Istanbul del 2011 contro la violenza sulle donne  ratificata dall’Italia nel 2013 con la legge 77 che, pur ribadendo che i diritti della vittima devono essere posti al centro di tutte le misure adottate, invita anche gli Stati (art. 16) ad adottare programmi rivolti agli autori di atti di violenza domestica al fine di incoraggiarli ad assumere comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali. Uno stimolo a noi ancora più vicino temporalmente e territorialmente si ha nella recente legge Regionale del Piemonte n. 4 del 24 febbraio 2016 che tra le varie raccomandazioni sostiene e potenzia la sperimentazione e diffusione degli interventi rivolti agli autori di violenza di genere.
Tali evidenze normative sono peraltro supportate anche dall’esperienza diretta che come associazione abbiamo potuto avere con molte donne che quella terribile esperienza di violenza  l’avevano vissuta sulla propria pelle. In particolare abbiamo incontrato diverse donne che sfuggivano a situazioni di violenza intrafamiliare  con i loro bimbi nel percorso proposto dalla comunità mamma-bambino.
Molto spesso infatti capita che siano proprio le donne che subiscono violenza a dover subire anche l’umiliazione di essere sradicate, per questioni di sicurezza, dal proprio contesto abitativo, amicale, lavorativo. A ciò inoltre si aggiungono ulteriori considerazioni. Gli uomini di fatto rimangono spesso  nella possibilità di reiterare con altre donne le  dinamiche di possesso e violenza perché nessun intervento viene agito su di loro. Inoltre molti autori di violenza, che lo si voglia o meno, rimangono anche padri dei figli della donna con tutto ciò che ne consegue in termini di cogenitorialità. La decadenza della responsabilità genitoriale difatti rimane come pena accessoria residuale se non per le situazioni più eclatanti.
Con il progetto Opportunity abbiamo allora provato ad invertire le cose ovvero a chiedere agli uomini di lasciare la propria casa in modo da consentire a chi ha subito la violenza di non essere sradicata dai propri riferimenti.
L’ipotesi guida del progetto infatti si è basata sul presupposto che un distacco spazio-temporale dal nucleo aggredito, indipendentemente dalla presenza di una denuncia o di un’imputazione processuale, fosse utile a disinnescare le dinamiche dell’aggressività in atto e ad intraprendere un percorso di riflessione predittivo di un maggiore controllo della rabbia e dell’impulsività al di là dell’esito del rapporto familiare.
Inoltre, cosa ancor più importante, abbiamo provato ad intercettare anche i casi in cui l’escalation verso situazioni più gravi possono essere ancora fermate e prevenute.
Si tratta di una sfida culturale, che non ha la pretesa di “risolvere” il problema della violenza. Tuttavia ci sembra uno strumento di intervento che merita una continuazione, anche perché consente di conoscere più da vicino gli autori di reato, con la speranza di favorire un cambiamento. Che di sfida culturale si tratti lo dimostra la difficoltà a trovare uomini disposti ad accettarla e a mettersi in gioco con noi.
Per i cinque uomini che hanno aderito alla nostra  proposta residenziale (tredici sono stati invece gli uomini intercettati al di fuori del percorso residenziale e con cui sono stati attivati progetti diversi) abbiamo nuovamente rilevato come il lavoro di gruppo favorisca la riproposizione delle dinamiche proprie e consenta la possibilità di intervenire per incrementare la possibilità di apprendimento dall’esperienza altrui. Attraverso un lavoro sugli stereotipi abbiamo provato a decostruire la dimensione culturale della violenza di genere approfondendo poi alcune strategie utili a contrastare il climax della violenza.
Un elemento di crescita per la nostra equipe è stato provare a mettere in discussione la dicotomia vittima-maltrattante. Anche in questo caso siamo stati guidati dal fatto che la nostra Associazione gestisce anche sportelli di accoglienza per le vittime di violenza e una comunità mamma bambino. Il lavoro sul campo ci ha dato l’evidenza di quanto possa essere poco fruttuoso identificare totalmente una donna offesa dal reato di violenza nel ruolo di vittima. Ovviamente non si tratta di disconoscere alcunché delle sofferenze subite ma è patrimonio comune constatare che l’immagine di una vittima (chiunque essa sia) evoca passività e  debolezza. Le donne incontrate invece nella maggioranza dei casi hanno subito violenza proprio per il fatto di non essersi passivizzate al tentativo di possesso e reificazione messo in atto dal partner.
Quindi, considerare questi uomini solo ed esclusivamente alla stregua di mostri non consente loro di provare ad essere anche altro. Ovviamente l’ approccio educativo utilizzato non disconosce minimamente le gravi  conseguenze anche giuridiche dei comportamenti agiti.  Riprendendo le parole di Alice Miller, nota studiosa dell’infanzia e dei comportamenti violenti, pensiamo sia possibile affermare che “per quanto segnati in positivo o negativo dalla nostra origine, dal patrimonio ereditario e dall’educazione, quando siamo adulti possiamo gradualmente prendere coscienza di queste impronte ed evitare di comportarci come automi. Con il  crescere della consapevolezza aumenta anche il margine di libertà necessario per sottrarsi ai vincoli ciechi ed assumere nuovi comportamenti”. Siamo convinti che la violenza, tranne in rarissime situazioni, sia una scelta e come tale possa essere rivalutata e modificata.
Solo agendo contemporaneamente su tutti i livelli della società (legislativo, economico, sociale, giudiziario, comunicativo) allora si possono ottenere risultati significativi nel contrasto, anche a lungo termine, del fenomeno della violenza di genere.

(mauro melluso, responsabile del progetto Opportunity del Gruppo Abele)

Il progetto Opportunity è sostenuto con i fondi otto per mille della Chiesa Valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi).

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