NotizieWhatsapp: zittiamo le nostre paure

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Il gruppo genitori su Whatsapp era, fino a qualche anno fa, una moda. Oggi è quasi un obbligo (“per fare bene il gruppo-genitori”, “per organizzare meglio gite, uscite, cene o iniziative varie”, etc.). Nella pratica, però, questo strumento spesso disturba. Al punto che si chiede al figlio come zittirlo; non lo si guarda quando serve e per sapere i dettagli logistici dell’uscita didattica del figlio, l’orario del ritrovo, della partenza e del rientro si chiama, al telefono, l’amica mamma anziché scrivere in chat. Segno, dal punto di vista tecnico, che Whatsapp è indispensabile solo a livello dei bisogni “immaginari”.
La grande domanda che ci pongono i figli dai 5 ai 12 anni, è la seguente: “Non mi soffocare: insegnami ad allontanarmi da te!”. Chiedono, cioè, di essere aiutati a recidere il cordone ombelicale; vogliono imparare a camminare con le loro gambe per irrobustire l’autostima e per diventare realmente autonomi. In parole semplici: chiedono molto di ciò che – per mille “paure” – gli adulti non vogliono dare loro, per quella compulsiva e incontrollabile esigenza di infinito “controllo” (si presti attenzione al fatto che nessun bambino della scuola primaria può lasciare l’edificio-scuola se all’uscita non è presente un genitore o un suo delegato... eppure ci pare indispensabile che siano dotati di uno smartphone per poterli sempre contattare).
La “logica del controllo” è, purtroppo, il vero (e a volte anche l’unico) “faro” che guida, che dirige e che imposta la vita dei nostri bambini (numericamente sempre meno). Segno che come genitori siamo molto più “segnati” dall’ansia e dalla paura che non dalla fiducia (non solo nei confronti dei figli, ma anche verso il mondo). Conferma del fatto che della libertà abbiamo paura prima noi e poi, domani, anche loro.
Il vero rischio di Whatsapp è quello di insinuarsi in queste pieghe e di diventare uno strumento in più – in modo più o meno conscio – al servizio del “controllo” del proprio figlio. I nostri “piccoli” capiscono molto bene il perché i genitori vogliano mantenere i contatti tra loro senza poi prendere sul serio quel loro strano collegamento. I nostri bambini sanno – per esperienza – che le “reti virtuali” hanno senso solo se hanno radici nelle relazioni vere: fondate sulla libertà e sulla reciproca fiducia. Ed è per questo che sorridono quando sentono parlare del gruppo Whatsapp dei genitori (“Papà zittisci quel gruppo perché non serve a niente e disturba solo quando siamo assieme”, Mattia, 10 anni, quinta primaria).
Imparare a "lasciare andare" il figlio è un’arte. Esige molto lavoro su di sé (autodisciplina e controllo sulle proprie paure, non sul figlio); chiede di dedicare molto tempo al figlio (quantità e qualità); richiede solide, sane e ampie alleanza educative e, soprattutto, disponibilità a “perdere” quel figlio (non possederlo e non soffocarlo) perché solo in quel modo lui sarà in grado di ri-trovarsi e di incontrare chi gli è accanto.
Se grazie a Whatsapp sono possibili queste riflessioni, ben venga questo strumento. Sapendo, come dice Mattia, che funziona meglio se è “zittito”; che serve a poco e che può fare molti danni.

(guido tallone, pedagogista)

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