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NotizieAzzardo, un settore evanescente che fa soldi sulla pelle delle persone

Conferenza stampa, a Binaria, contro la proposta avanzata dalla giunta regionale piemontese di modificare la legge 9/2016 a contrasto della diffusione del gioco d'azzardo. Presentati i dati che spiegano i benefici della norma

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A chi dice che in Piemonte serva cambiare le norme di prevenzione contro l'azzardo per favorire il lavoro e la movimentazione dell'economia, la risposta più forte è arrivata da Leopoldo Grosso, psicoterapeuta e presidente onorario del Gruppo Abele: "Benefici sull'occupazione? L'azzardo è un settore che sa tanto di bolla economica, essendo un fenomeno assai evanescente". Un settore che "crea problemi, non servizi", arricchito dalle tasche e sulla pelle delle persone ma figlio del tempo e della crisi.

Insomma, nemmeno a voler cercare l'ago positivo nel pagliaio di fattori controproducenti si riesce a riabilitare la pratica dell'azzardo. Specie quando a spingere i profitti della holding del gioco è lo Stato, facente funzione di induttore di falsi bisogni. Di qui, la presa di posizione di un cartello di associazioni piemontesi contro la proposta presa in esame e gettata nella discussione politica non più tardi di qualche settimana fa dalla giunta regionale del Piemonte. Una proposta che vuole modificare, di fatto depotenziandola, la legge 9/2016.

Questa mattina, a Binaria, il Centro commensale del Gruppo Abele, si è tenuta una conferenza stampa cui hanno partecipato Leopoldo Grosso e Pasquale Somma per il Gruppo Abele, Maria José Fava per Libera Piemonte, il coordinatore regionale dei servizi sul gioco d'azzardo Paolo Jarre, il presidente di Federconsumatori del Piemonte Giovanni Prezioso e quello della Sia Pierluigi Allosio, Daniele Pini per la FederSerD, Paolo Fausto Barcucci e Andrea Lazzara per l'Ordine degli psicologi del Piemonte, Luciana Malatesta per la Fondazione La Scialuppa e il consigliere della Fondazione San Matteo, Stefano Passaggio.

La contrarietà a ogni modifica e la richiesta di lasciare inalterata la norma è stata accompagnata e sorretta dalla presentazione di dati, ognuno dei quali a rappresentare un tassello in più a favore della 9/2016. A sciorinarli, Jarre, che è partito da qui: "I dati epidemiologici raccolti dal CNR di Pisa nella nostra Regione nella primavera 2019 dimostrano che in Piemonte nel 2018 aveva praticato almeno un gioco in denaro meno del 33% della popolazione contro un dato nazionale del 2017 del 42% ". Un dato interessante, in controtendenza rispetto al resto d'Italia dove, malgrado i primi tentativi di scrittura e applicazione di leggi sul modello piemontese, i benefici restano meno evidenti. Questa stima va messa in relazione stretta con quella che Jarre ha definito rarefazione dell'offerta. A dicembre 2018 "a fronte di un locale con slot machine ogni 917 abitanti nel resto del Paese, in Piemonte c'era un locale con slot ogni 2413 abitanti". Segno insomma che "la capillarità dell’offerta è uno dei più potenti fattori di rischio".

Tanto basta per un calcolo: "Se nei 4 anni dal 2016 al 2019 in Piemonte si fosse continuato a giocare denaro come nel resto d’Italia, i piemontesi avrebbero speso nel gioco 2 miliardi e 618 milioni di euro in più; 262 milioni nel 2016, 604 nel 2017, 913 nel 2018 e ancora 839 nel 2019". Se ciò non è avvenuto, secondo Jarre, il merito è dell'azione contemporanea delle "restrizioni temporali disposte dai Comuni dal 2016" e dell’applicazione "del confinamento geografico, il cosiddetto distanziometro che è entrato in vigore per bar e tabacchi già alla fine del 2017".

E invece, proprio tra 2016 e 2019 i milioni di euro non giocati sono stati 2.618. Per la maggior parte di gioco non praticato su canale fisico (2.227 milioni) ma anche di gioco online (391 milioni). "Quindi - è stata la chiosa di Jarre - non solo in Piemonte non si è giocato sul web più che nel resto del Paese ma addirittura lo si è fatto un po' di meno in generale. Riguardo all'anno passato invece il dato della raccolta da canale fisico in Piemonte è di 4.549 milioni; "se dal 2016 la raccolta fosse cresciuta come nelle altre 19 regioni essa sarebbe stata di 5.311 milioni, 762 milioni di euro in più in un solo anno. Il dato del gioco online (in preoccupante crescita ovunque, soprattutto nelle Regioni meridionali) è stato di 2.321 milioni; applicando lo stesso ragionamento ci si sarebbe attesi in Piemonte una somma di 2.398 milioni, 77 milioni in più nel 2019". Deduzione facile: meno denaro giocato, molto meno denaro perso.

Tornando alla legge, a confermarne la bontà sono gli stessi giocatori d’azzardo piemontesi in cura nel 2018 nei servizi della Regione, in gran maggioranza d’accordo con le restrizioni dell’offerta imposte dalla legge (84% sul disciplinare gli orari di funzionamento delle slot, 81% di metterle lontano dai bancomat) e in gran numero (35% dei maschi e 42% delle donne) dichiarano di essere stati aiutati molto o abbastanza dalla ridotta diffusione delle slot. "Lo studio del Cnr di Pisa dimostra che la proporzione di giocatori a rischio diverso da 0 (dal rischio minimo al gioco patologico) in Piemonte nel 2018 assommava al 13.9 % contro un dato nazionale dell’anno precedente quasi doppio, il 22.2%. Meno giocatori e molti meno giocatori problematici", ha spiegato Jarre.

Incrociando il dato complessivo del gioco su canale fisico del 2019 in Piemonte – 4.549 milioni – con il dato già disponibile presso la Presidenza della Regione relativo al primo semestre - 2.355 milioni – si ottiene per differenza il dato del secondo semestre 2019, cioè 2.194 milioni. "La cosa - il ragionamento di Jarre - è di particolare rilievo perché a fine maggio 2019 è entrato in vigore il distanziometro anche per le sale giochi: pur in un quadro di applicazione di questo dispositivo della Legge a macchia di leopardo, in un solo semestre il gioco offline è diminuito rispetto al semestre precedente di ben 161 milioni. E nello stesso lasso di tempo il gioco online è cresciuto di soli 67 milioni". Nel 2019 quindi quasi 100 milioni in meno giocati su tutti i canali in Piemonte in un solo semestre.

Di fronte a dati come questi sarebbe dunque di poco senso cambiare la legge. Che, ha concluso Jarre, è "di tutela della salute".

(piero ferrante)

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