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NotizieCostruire l’alternativa contro il declino della convivenza democratica

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L’Italia è tra i Paesi europei con il maggior numero di persone a rischio esclusione sociale: 1 su 3. È anche il Paese dove sono presenti due delle tre regioni più povere d’Europa: la Sicilia e la Campania. Non è andato tutto bene.
La crudele pedagogia del virus mostra un Paese in cui la pandemia colpisce soprattutto le donne, i lavoratori precari, gli irregolari, i lavoratori di strada, gli autonomi, i senza fissa dimora, i residenti delle periferie delle grandi città, i disabili, gli immigrati. Il Covid-19 non ha fatto altro che allargare l’impatto di una crisi iniziata con l’aumento delle disuguaglianze già molto tempo fa, poi amplificata dalle politiche di austerità. In assenza di misure adeguate e di una migliore distribuzione della ricchezza continuano a crescere disuguaglianze e povertà.

L’Istat denuncia sei milioni di italiani in povertà assoluta, mentre cresce il numero dei miliardari (36 nel 2019, 40 nel 2020, 51 nel 2021, secondo Forbes) e la loro ricchezza (solo nel 2020 hanno incrementato il loro patrimonio di 45,7 miliardi secondo Oxfam). Il lavoro è sempre più precario e povero: sono addirittura 6,4 milioni i working poor secondo un’analisi della Confederazione dei Sindacati Europei.

Il nostro sistema di protezione sociale è inadeguato e sottofinanziato, e continua a scaricare il peso di cura sulle donne. Le misure di sostegno al reddito sono parziali e lontane dai pilastri sociali europei che garantiscono non solo il reddito minimo garantito ma anche il diritto all’abitare e servizi sociali di qualità. Anche la qualità del nostro clima e la salute dei nostri territori peggiora più rapidamente che altrove, esponendoci a maggiori rischi: solo lo smog ha ucciso lo scorso anno più di 66mila persone. Ma a far paura è soprattutto la povertà relazionale e culturale per le conseguenze che genera, favorendo letture semplificate della realtà e della complessità dei problemi. Il 30% degli italiani è analfabeta di ritorno, secondo l’Istituto Cattaneo. Un ritardo che continua a rafforzare nel nostro Paese odio, depressione, razzismo, estrema destra e mafie pronte a scaricare sui più deboli le responsabilità della crisi. L’istituzionalizzazione della povertà genera allo stesso tempo rabbia e darwinismo sociale. Due conseguenze nefaste per la convivenza democratica.

È questo il contesto nel quale si è svolta l’ultima tornata elettorale. Non stupisce che abbia sancito la vittoria del partito dell’astensione. È il costo dell’esodo della politica dai luoghi dove dovrebbe essere strumento di riscatto ed emancipazione: a cominciare dalle periferie, dove circa due terzi non hanno votato. Nonostante la stucchevole retorica e il tentativo di mostrare candidati attenti alle condizioni di chi è in difficoltà (bontà loro: devono aver dimenticato che è un obbligo nella nostra Costituzione), i dati elettorali confermano che questa politica non è in grado di ascoltare, né di rappresentare queste istanze.

È in situazioni eccezionali, come quella della pandemia, che si conoscono meglio le qualità e le priorità delle nostre istituzioni. L’aumento delle disuguaglianze e l’astensionismo certificano da un lato la bassa qualità delle nostre istituzioni e dall’altro confermano come la lotta per sconfiggere la povertà non sia più una priorità della politica. Ma se ci guardiamo intorno, in Europa come nel resto del mondo, la situazione non è tanto dissimile. Le disuguaglianze e la fame aumentano, mentre il collasso climatico minaccia la nostra sopravvivenza e il presente di miliardi di persone. E non è servita la drammatica lezione della pandemia per far cambiare strada a chi gestisce la governance internazionale, anzi. Avevamo tutte le competenze per evitare che il Covid-19 diventasse una pandemia, come ha denunciato l’OMS. La catastrofe è frutto dell’incapacità della politica di sottrarsi al controllo e al ricatto degli interessi economici e finanziari di un modello insostenibile da ogni punto di vista. L’iniqua distribuzione dei vaccini e gli osceni guadagni delle big Pharma mettono a rischio la nostra sicurezza e la nostra salute, rendendo vani gli sforzi di molti. Altro che cooperazione, solidarietà e sostenibilità. Le scelte fatte dimostrano che la politica è al servizio di pochi, nonostante le dichiarazioni di facciata.

La conferma che la politica così com’è oggi non funziona più, che la partecipazione si riduce ovunque pericolosamente e che non può essere il liberismo economico la strada da percorrere per uscire dalla crisi per la prima volta arriva anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. In apertura della settantaseiesima assemblea generale Guterres ha denunciato come “siamo sull’orlo dell’abisso e ci muoviamo sulla strada sbagliata”. Parole enormi che fotografano allo stesso tempo il declino della convivenza democratica. Un declino che ha due facce: da un lato il predominio aggressivo delle forze di destra più conservatrici, caratterizzate dall’insofferenza verso le regole democratiche, dall’odio razziale, sessuale e dal negazionismo; dall’altra il regresso, il disorientamento e la scomparsa delle sinistre. La convergenza di questi due aspetti rende la popolazione ancora più vulnerabile e indifesa.

In questo nuovo contesto, come sostiene il sociologo Boaventura De Sousa Santos, esistono solo tre scenari possibili: 1) negazionismo; 2) gattopardismo; 3) alternativa civilizzante. Il primo scenario è quello in cui si vuole fare ritorno alla presunta normalità, in cui vengono ignorati tutti i problemi intorno a noi, 5 milioni di morti inclusi, e i fallimenti causati dalle scelte portate avanti. Nel secondo invece si riconosce che siamo davanti a problemi gravi, ma che basteranno alcuni aggiustamenti senza nessun cambio strutturale e senza mettere sotto accusa il sistema economico che ne è responsabile. Il terzo scenario è quello che afferma che non bastano le misure già viste, e che sono necessari cambiamenti strutturali e un altro approccio culturale per uscire dalle crisi. Ognuno di questi scenari genererà conflitti, linguaggi e visioni diverse sulle crisi e sulla relazione tra queste e la pandemia. Chi vuole evitare di rimanere stretto nella morsa tra negazionismo e gattopardismo ha solo il terzo scenario come opzione: quello dell’alternativa civilizzante.

Per difendere la Terra, sconfiggere disuguaglianze e povertà e riconquistare i nostri diritti non c’è altra strada che sostenere e mettere insieme soggetti e conoscenze che credono necessario e urgente condividere un nuovo paradigma di civilizzazione. La politica si può ricostruire se siamo capaci di passare dalla pandemia all’utopia.

(giuseppe de marzo, coordinatore della Rete dei Numeri Pari)

Tratto da micromega.net

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