NotizieLa cittadinanza monitorante può fare la differenza nella gestione dell’emergenza covid

Per prevenire la corruzione, e ancor più per educare a essa, occorre tenere in conto cinque regole. Regole che sono quelle seguite dal Centro di Promozione della legalità di Crema e Cremona, titolare con il Coordinamento provinciale di Libera della sperimentazione Trasparenza è libertà, che, con l'accompagnamento scientifico del Gruppo Abele, ha coinvolto oltre venti docenti tra progettisti e sperimentatori e classi di ogni ordine e grado per un totale di centinaia di studenti. Questo progetto è stato poi, dal 26 al 28 maggio, al centro di una tre giorni digitale, che, tra dibattiti e convegni, ha coinvolto oltre 3000 persone

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Per prevenire la corruzione, e ancor più per educare a essa, occorre tenere in conto cinque regole. Regole che sono quelle seguite dal Centro di Promozione della legalità di Crema e Cremona, titolare con il Coordinamento provinciale di Libera della sperimentazione Trasparenza è libertà, che, con l’accompagnamento scientifico del Gruppo Abele, ha coinvolto oltre venti docenti tra progettisti e sperimentatori e classi di ogni ordine e grado per un totale di centinaia di studenti. Questo progetto è stato poi, dal 26 al 28 maggio, al centro di una tre giorni digitale, che, tra dibattiti e convegni, ha coinvolto oltre 3000 persone (disponibile QUI).

La prima regola, dicevamo, è smetterla di mettere “loro” al centro. Così come per raccontare un bosco si parte dagli alberi e non dall’incendio, allo stesso modo quando si parla di integrità, e di educazione a essa, occorre mettere al centro se stessi. Ecco: anticorruzione significa ragionare sull’integrità dei propri comportamenti, rivoluzionare lo sguardo, rinunciare al partire dalle categorie del diritto o dagli accadimenti corruttivi, correndo il rischio di interpellare la propria “frangibilità”, o meglio “corrompibilità”. Scoprirsi “a rischio” significa avere, di conseguenza, una maggiore e più matura resistenza rispetto a un certo “fascino discreto della corruzione”, per citare un’opera di Gaspar Koening. Corrompibili lo siamo tutti, corruttibili (ossia disponibili al malaffare) assolutamente no.

La seconda regola a doppio filo è legata alla prima: integrità significa cura del bene comune, o meglio delle diverse forme di bene che il malaffare intende intaccare. Curarlo agendo da persone comuni. Togliamoci il mantello e rinunciamo all’idea di divenire eroi solitari che sfidano l’opacità. Cominciamo piuttosto a chiedere, come comunità, piena trasparenza nella gestione dei beni comuni, tramite l’esercizio del diritto di sapere che non a caso la normativa di prevenzione della corruzione affida a tutte e tutti noi. Dalla salute alla gestione di un’amministrazione pubblica; dai beni confiscati agli spazi urbani; dagli appalti ai fondi europei: non c’è ambito dell’interesse collettivo che non sia possibile illuminare e vigilare, affinché non avvenga malaffare nell’oscenità del dietro le quinte.

La terza regola è che le regole non vanno obbedite o disobbedite, ma che vanno comprese, interiorizzate, persino messe in discussione e cambiate. Non è la disobbedienza, in sintesi, la via per la libertà, ma la condivisione delle norme come singoli e come comunità, sino a mettere in crisi quelle che nascondono ingiustizie. Ecco perché l’educazione su questo è indispensabile: affinché, fin da piccoli, si apprenda a ragionare secondo questi paletti, fino a cambiarne la disposizione qualora occorra.

La quarta regola è giocare, ossia liberarsi dall’idea che quando si praticano questi temi occorra vestirli di seriosità, come se l’atteggiamento restituisse una qualche forma d’impegno. Occorre ritrovare una piacevolezza nell’azione contro la corruzione, mettendo al centro una leggerezza, che è tutt’altro che banalità. Divertirsi nel fare anticorruzione può diventare un obiettivo in grado di avvicinare tante persone che oggi considerano questi temi come lontanissimi.

La quinta regola è, di conseguenza, considerare “semplice” sconfiggere il malaffare. Non “facile”. È tempo di rinunciare all’idea che le cose della corruzione e dell’anticorruzione siano difficili da capire. Metterle in un orizzonte di difficoltà significa allontanarle da una pratica comune, sino a pensarsi senza armi e senza strumenti utili. È un trucco, uno dei tanti, fatto passare da corrotti e corruttori, al fine di non farci avere contezza del nostro potere. Possiamo fare la differenza nella lotta alla corruzione, e possiamo farlo anche nei tempi attuali, apprendendo dai bambini e dai ragazzi di Cremona. Se avessimo infatti seguito queste cinque regole durante l’emergenza Covid-19, e ancora più nei tempi presenti post pandemia, avremmo costruito un mondo davvero differente.

Per esempio: se piuttosto che barriere e manifesti nei parchi avessimo messo mediatori di comunità, avremmo potuto generare una presa di consapevolezza diffusa (incluso nei genitori, si spera) come quella che ha portato i bambini delle primarie di Cremona a negoziare la disposizione degli spazi nella propria classe, tenendo conto dei diversi bisogni, scegliendo anche di ridefinire il tutto ogni tot di tempo.

Se avessimo favorito una cultura della responsabilizzazione e non dell'imperativo sul “come comportarsi”, avremmo fatto come quegli adolescenti delle secondarie di primo grado di Cremona che, dopo un’ora di smartphone in classe, lo hanno lasciato perché sentivano di aver perso il senso del loro stare insieme, del loro essere comunità-classe. Stiamo perdendo l’occasione di ricostruirci come comunità, in un momento storico in cui il lockdown ha frammentato il nostro vivere comune, senza credere che necessiti cura e attenzione anche su questo fronte.

Se avessimo risposto con una trasparenza integrale alla fase due rendendo del tutto trasparenti ogni risorsa erogata al fine di permettere quelle forme di vigilanza dal basso, avremmo fatto come quei ragazzi delle secondarie di secondo grado di Cremona, che si sono trasformati in cittadini vigilanti del bene comune a loro vicino e consapevoli di quanto ogni stortura e ogni malaffare costi davvero a ciascuno di noi.

Siamo ancora in tempo, almeno per la "fase 3" e per alcune di queste cose. È necessario che la cittadinanza monitorante sia il paradigma su cui ricostruire il futuro post Covid-19. E se qualcuno pensa che “noi italiani non siamo fatti per questo”, va detto che nessuno pensava che saremmo riusciti a rimanere due mesi fermi in casa. I cambiamenti sono possibili: occorre una forte determinazione e un lavoro serissimo e consapevole, cominciando dai luoghi educativi senza rinunciare a intaccare fin da subito le certezze degli adulti.

(leonardo ferrante, progetto Common del Gruppo Abele)

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