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NotizieLa "tortura" in Italia non esiste

Stefano Cucchi a Roma, Riccardo Magherini a Firenze, Giuseppe Uva a Varese, Federico Aldovrandi a Ferrara... Quella che si va delineando è una mappa dell'orrore che però non trova ancora la giusta attenzione da parte dei media e dell'opinione pubblica, almeno come fenomeno sistemico

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Nello scorso mese di marzo la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha respinto la richiesta del governo Renzi di composizione amichevole per il caso di due detenuti sottoposti a trattamento inumano nel carcere di Asti. Nel 2015 la stessa Cedu ha condannato l’Italia per i fatti avvenuti all’interno della scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001 e ha richiamato il nostro Paese per l’assenza del reato di tortura nel nostro codice penale. Come ha scritto il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, su il manifesto “l’assenza della legge è un’autostrada verso l’impunità”. Ad Asti, infatti, è successo proprio questo: gli agenti di polizia penitenziaria accusati di aver denudato, percosso e insultato due detenuti, non potendo essere accusati di tortura, sono stati perseguiti per reati meno gravi presto finiti in prescrizione. Su questo vulnus normativo abbiamo intervistato l'associazione Acad, Associazione contro gli abusi in divisa, che ha deciso di risponderci in maniera comunitaria.

In che modo la vostra associazione fornisce supporto ai familiari delle vittime?
Acad nasce dalla volontà di dare sostegno alle famiglie delle vittime e a coloro che hanno subito abusi ma che non si sono dati per vinti e non hanno accettato una verità giudiziaria che già troppe volte si è dimostrata lacunosa. Il punto di forza dell'associazione è il numero verde attivo 24 ore su 24 e i tanti avvocati che hanno aderito al nostro progetto, ormai diffuso sull'intero territorio nazionale. Avvocati che applicano il minimo del tariffario e il gratuito patrocinio ogni qualvolta sia possibile. Questo perché riteniamo che i soldi non debbano essere una discriminante per far partire un processo come è successo più volte in passato. Un'altra delle cose che facciamo come Acad è stare vicino alle famiglie durante i processi, fuori e dentro le aule dei tribunali.

Stefano Cucchi a Roma, Riccardo Magherini a Firenze, Giuseppe Uva a Varese, Federico Aldovrandi a Ferrara... Quella che si va delineando è una mappa degli abusi che però non trova ancora la giusta attenzione da parte dei media, almeno come fenomeno sistemico. Perché?
Una mappa purtroppo incompleta: siamo a conoscenza solo di una piccola parte di casi. Riteniamo infatti che ci sia un sommerso enorme. La responsabilità, a nostro avviso, è sopratutto di quei giornalisti che non svolgono correttamente il loro lavoro. Ci siamo ritrovati più volte a dover constatare che gli articoli di giornale erano fedeli copie delle veline delle questure e non una vera cronaca del fatto. Ricordiamo tutti i titoli dei giornali il giorno dopo la morte di Federico Aldrovandi: si è parlato di un ragazzo che all'improvviso si accasciò al suolo di fronte agli agenti. La realtà emersa dalle indagini è ben diversa da quella descritta in quegli articoli: Federico morì dopo che quattro agenti lo avevano pestato spezzandogli addosso due manganelli e provocandogli 54 lesioni sul corpo.
Pensiamo anche al caso di Davide Bifolco, sedicenne ucciso a Napoli il 5 settembre 2013 da un colpo di pistola sparato da un carabiniere. I giorni successivi le televisioni si sono concentrate sul disagio che si vivrebbe al rione Traiano, tra camorra e spaccio di droga, e non sul fatto che un ragazzo di sedici anni sia stato raggiunto e ucciso da un proiettile sparato da chi dovrebbe garantire l'ordine e proteggere i cittadini.

Come si può coinvolgere l'opinione pubblica su questo fenomeno?
Le cose stanno già cambiando e i cittadini, messi di fronte all'evidenza, si stanno rendendo conto che qualcosa non quadra. La grande risposta dell'iniziativa 1000 candele per Stefano fatta a Roma all'indomani della sentenza di assoluzione in appello di tutti gli imputati per la morte di Stefano Cucchi, l'indignazione per l'assoluzione degli imputati per la morte di Giuseppe Uva, la grande attenzione che il caso di Dino Budroni ha avuto nelle scorse settimane, ne sono la dimostrazione. Grande merito va a Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Claudia Budroni, Domenica Ferrulli e a tutti i famigliari delle vittime che non
si sono arresi e hanno trasformato il loro dolore in determinazione.


Era il 1988 quando l’Italia ratificò la convenzione Onu contro la tortura. Da allora poco sembra essere cambiato, come dimostra il disegno di legge sulla tortura che giace da ormai troppo tempo in Senato. Il caso di Giulio Regeni può spronare il Parlamento in tal senso?
Dall'Italia stiamo puntando il dito contro il governo egiziano per far in modo che venga fatta luce sulla morte di Regeni quando il nostro sistema giuridico, per primo, non prevede una legge sul reato di tortura.
Stefano Cucchi, Francesco Mastrogiovanni, Federico Aldrovandi non sono stati forse sottoposti a tortura? Le loro famiglie hanno ottenuto giustizia? I torturatori di Cucchi sono tutti liberi visto che fino ad oggi nessuno è stato condannato per la sua morte, quelli di Federico Aldrovandi addirittura reintegrati in servizio.
La Corte di Strasburgo ha rilevato che il carattere del problema è "strutturale" e  richiama l'Italia a "stabilire un quadro giuridico adeguato, anche attraverso disposizioni penali efficaci", munendosi di strumenti legali in grado di "punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti". Ma questo è un paese che vive sulle lunghezze emotive dei grandi eventi e la legge della torura non è da meno: dopo la sentenza della Corte Europea che ha condannato il nostro Paese per i fatti della Diaz durante il G8 di Genova sembrava che il Parlamento fosse sul punto di approvare il reato di tortura, finito poi nel dimenticatoio.

Di recente Acad ha accompagnato una delegazione di familiari di vittime a Bruxelles su invito dall’europarlamentare Eleonora Forenza. Qual è stato il senso del vostro viaggio e che significato ha il progetto di un libro bianco sulla repressione?
L’obiettivo del nostro viaggio era quello di essere ascoltati insieme ai familiari delle vittime in un’audizione in Parlamento per poter mettere in luce la violenza esercitata da chi indossa una divisa. Per la prima volta questi temi sono entrati nella massima sede Europea, che ha ascoltato le storie di chi da anni presidia le aule dei tribunali e le piazze affinché nessuno possa voltarsi dall’altra parte. Abbiamo inoltre presentato un dossier dedicato alla memoria di Giulio Regeni raccontando quello di cui ci occupiamo, perché Acad vuole essere uno spaccato di quel paese che non si è arreso e che, nelle aule di tribunale come per le strade, sta dando battaglia affinché ogni abuso non rimanga impunito.

(valentina casciaroli) 

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