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NotizieL’Italia vista attraverso le Rems

Un'intervista a Giovanna Del Giudice, del comitato StopOpg, che sta percorrendo la penisola facendo tappa in tutte le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sorte al posto degli Ospedali psichiatrici giudiziari

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30 novembre 2015: Maniago di Friuli (Pordenone); 3 dicembre: Mondragone e Roccaromana, nel casertano; 4 dicembre: Pontecorvo (Frosinone). Sono le prime quattro tappe del viaggio sulle Residenze per l’esecuzione delle misure di Sicurezza (Rems) intrapreso da una delegazione del comitato nazionale StopOpg. Un lungo cammino che toccherà tutte le sedici strutture e che ripartirà il 14 gennaio dall’Emilia Romagna. Sul portale ufficiale del comitato, è già disponibile un primo report: un documento inquietante, a tratti molto duro, che rimarca tutte le difficoltà e i ritardi nell’effettivo superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), di fatto chiusi il 31 marzo 2015. Ne abbiamo parlato con Giovanna Del Giudice che, per StopOpg, ha intrapreso il viaggio insieme al presidente del comitato Stefano Cecconi.

L’Italia vista attraverso le Rems. Perché?
L’iniziativa nasce da una doppia componente: conoscenza e verità. Da un lato, volevamo verificare come sono realmente strutturate le Rems, non esistendo una normativa chiara che ci permettesse di immaginare un’organizzazione unica. Dall’altro, ci premeva e ci preme mantenere i fari accesi sulla questione del superamento degli Opg nei suoi fondamenti psichiatrici e giuridici. La partita non è chiusa e le visite fin qui fatte lo confermano. Quel che si può dire è che, se è vero che stiamo andando verso una chiusura di istituti spregevoli, privi di senso e anticostituzionali, rimane il rischio che gli Opg si riproducano, identici, nelle Rems. Forse in forme meno orrende, meno disumane, ma comunque preoccupanti.

Al momento ne avete visitate quattro. Qual è l’elemento più evidente?
Nelle quattro strutture di Maniago, Mondragone, Pontecorvo e Roccaromana sono internate 42 persone in tutto. Oltre la metà di loro non proviene da Opg, ma si trova nelle Residenze a seguito dell’esecuzione di una misura di sicurezza provvisoria. Questo ci racconta che la magistratura di cognizione non sta operando nel rispetto della legge 81/2014 laddove questa prevede la detenzione in Rems solo come ultima possibilità. C’è, evidentemente, una poca conoscenza della normativa o una sua cattiva interpretazione. È un problema estremamente serio che speriamo possa essere affrontato da un Commissario nazionale che, al momento, ancora non è stato nominato.

Nel report che avete redatto dopo queste prime visite, a proposito di alcune strutture, parlate di “segni visibili del mandato custodiale”. Che significa?
Significa che, seppure rispetto ad alcuni orrori degli Opg qualcosa è cambiato, c’è ancora molto lavoro da fare. Nella Rems femminile di Pontecorvo, ad esempio, dove sono internate 12 donne, per quel che concerne l’organizzazione degli spazi è stato preso a riferimento il modello di Castiglione delle Stiviere. Succede così che, dietro un’apparenza di pulizia, dietro il colore delle pareti, permangono vere e proprie forme di sequestro delle persone e di controllo e vigilanza che nulla hanno a che fare con le finalità di cura che dovrebbe avere: metal detector all’ingresso, finestre alte e sbarrate, vetri opachi per impedire che si possa guardare all’interno. Soprattutto, le porte delle stanze che si aprono solo dall’esterno con chiavi in possesso degli operatori. Ufficialmente, si tratta di misure a garanzia della sicurezza. In verità non solo non esiste sicurezza laddove vengono lese le libertà personali (la libertà è una forma di sicurezza), ma la storia insegna che il pericolo per la salute dei pazienti è molto grande in casi come questi.

Qual è il grado di integrazione tra le comunità locali e le Rems?
Purtroppo non sempre buono. Prendo un caso per tutti, quello di Roccaromana, nel casertano. La residenza è ubicata al di fuori del centro abitato, per giunta in un paese che non è servito da mezzi pubblici. Isolata. I familiari dei pazienti, quando non sono automuniti, hanno difficoltà nell’incontrare i propri cari. Sono casi al limite dell’assurdo, strutture figlie di una logica ottocentesca, che pone l’elemento di turbativa lontano dallo sguardo della società. Ma noi sappiamo che tutto quanto è fuori dallo sguardo può generare mostruosità e si espone alla violazione dei diritti.
Viceversa, abbiamo riscontrato gestioni virtuose a Maniago e Mondragone. In questi due casi, le Residenze sono inserite in strutture residenziali e diurne del Dipartimento di salute mentale già preesistente, dove le persone internate si mescolano e si integrano con le altre persone e attività proprie di quel servizio; usano gli stessi luoghi; fanno le stesse attività: si rivolgono agli stessi operatori ed escono, se accompagnati, dalla struttura. Ecco, questo sforzo va ripetuto e imitato. D’altronde, sono gli stessi operatori a dire che le persone in misure di sicurezza preventiva non sono diverse da quelle degli altri centri di salute mentale: per questo è inutile creare istituzioni deputate. Basta prendercene carico nei normali servizi di salute mentale, evitando così, a monte, ogni pericolo di sequestro.

Come è stato il rapporto con i responsabili delle Rems?
Fin qui molto collaborativo. Non abbiamo mai riscontrato resistenze per accedere all’interno delle strutture. Sanno di avere nel comitato un interlocutore credibile e ci sottopongono dubbi, perplessità e proposte fattive. Per esempio, da più parti è emersa la proposta di allestire un tavolo di confronto tra tutti i responsabili delle Rems, in modo tale da poter intersecare informazioni, modelli e possibili soluzioni. Sicuramente una cosa da tenere in considerazione.

(piero ferrante)

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