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No, l'isolamento non ci ha resi affatto tutti uguali. Non siamo uguali perché, ed è la più immediata e impattante delle diseguaglianze, da un lato esistiamo noi, che abbiamo una casa, un luogo in cui isolarci (in questo caso obbligati, ma anche volontariamente, quando ne abbiamo voglia), e dall'altro quelle donne e quegli uomini che una casa non ce l'hanno e che abitano la strada, i luoghi pubblici, a contatto continuo con il mondo. Ma anche dove invece il punto di partenza, la casa, è simile, possono esistere condizioni diverse. Peraltro simile non è uguale: esistono case piccole e case grandi, case agevoli e case scomode, case in centro e case lontane da tutto, case con cortili e giardini e case affacciate sui vialoni

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No, l’isolamento non ci ha resi affatto tutti uguali.
Non siamo uguali perché, ed è la più immediata e impattante delle diseguaglianze, da un lato esistiamo noi, che abbiamo una casa, un luogo in cui isolarci (in questo caso obbligati, ma anche volontariamente, quando ne abbiamo voglia), e dall’altro quelle donne e quegli uomini che una casa non ce l’hanno e che abitano la strada, i luoghi pubblici, a contatto continuo con il mondo. Ma anche dove invece il punto di partenza, la casa, è simile, possono esistere condizioni diverse. Peraltro simile non è uguale: esistono case piccole e case grandi, case agevoli e case scomode, case in centro e case lontane da tutto, case con cortili e giardini e case affacciate sui vialoni...

Le famiglie di origine straniera che frequentano gli spazi di sostegno compiti del progetto Genitori&Figli del Gruppo Abele, in questo momento storico così particolare patiscono le condizioni dell’isolamento. D’altronde non è semplice comprendere le dinamiche relazionali di famiglie numerose che abitano in spazi ristretti, o approcciarsi al senso di solitudine che vivono molte donne rispetto alla difficoltà di gestione del processo formativo, didattico ed educativo dei propri figli. Sono di questi giorni i dati Istat che raccontano che un Italiano su quattro vive in condizioni di sovraffollamento abitativo. Percentuale che vola al 42% per quel che riguarda i minori. Peggio va quando leggiamo le stime di Eurostat che mettono l’Italia all’ultimo posto tra i grandi Paesi europei con disagio abitativo.
Insomma, questa situazione di emergenza sanitaria non piana le disuguaglianze: le esaspera.

Non va meglio per quel che riguarda le tecnologie. Era un luogo comune, prima del contagio, pensare che tutti i ragazzi avessero un computer o un tablet a cui connettersi stando a casa. L’evidenza oggi dice che per la maggioranza delle famiglie, il cellulare del genitore è l’unico strumento digitale con cui il bambino entra in contatto fino alla pre-adolescenza. Molte famiglie inoltre, non hanno gli strumenti conoscitivi per farne un uso complesso, spesso riducendolo a mero supporto di comunicazione basilare. Ripartendo dallo studio Istat: il 33.8% delle famiglie non ha computer o tablet in casa, nel Mezzogiorno d’Italia la quota delle famiglie senza computer sale al 41.6%. La percentuale scende al 14.3% nelle famiglie con almeno un minore. Più bassa, ma ugualmente significativa. Di più: solo nel 22% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet: per gli altri vale la gestione in comune.
E sulle competenze, l’Istituto di Statistica stima che, tra gli adolescenti di 14-17 anni che hanno usato internet negli ultimi tre mesi, ben due su tre hanno competenze digitali basse e meno di tre su dieci si attesta su livelli alti.

Venendo al pratico della nostra esperienza: la didattica online, a oggi, è una chimera. Come attestato dall’Istat, mancano i supporti perché alcuni bambini della primaria dispongono solo del telefono della madre e per giunta con un flusso di dati limitato. Inoltre, non tutte le insegnanti sanno gestire le diversità di approccio alla tecnologia di tutti gli alunni e spesso chi non si connette resta semplicemente e desolatamente fuori. La scuola corre e i minori restano al palo, fermi. Non esiste una teoria specifica, certo. Molto è affidato alla capacità relazionale dell’insegnante, alla sua disponibilità e attenzione al singolo, all’abitudine o meno all’uso di supporti tecnologici, siti e metodi mai sperimentati prima e ora necessari, urgenti, unici mezzi per garantire una didattica, una vicinanza, una relazione educativa e affettiva.

Diverse famiglie ancora dopo un mese dalla chiusura della scuola non si sono attivate per ricevere i compiti e rimandarli, ma contemporaneamente non sono state ricontattate dall’insegnante.

Come Genitori&Figli stiamo provando a supportare questa parte più tecnica. Abbiamo attivato l’aiuto dei volontari per seguire alcuni bambini nello svolgimento dei compiti, mantenendo così un contatto umano oltre all’aiuto. La mancanza della presenza e dell’incontro sembra essere uno dei motivi primari all’aumento della pigrizia, dell’inerzia, del rifiuto di fare quel che prima il ragazzino sapeva fare autonomamente. Alcuni bambini lamentano già sfiducia nel futuro, non hanno desideri su cosa fare dopo, temono la crisi non finisca più, si sentono persi, non cercano i compagni e vanno coinvolti con richieste particolari affinché si sforzino di usare la fantasia, l’intelligenza, la creatività. Vanno stimolati, pena il loro spegnimento.

Per un bambino di 9 anni che sembrava non avere più alcun interesse se non per la televisione, abbiamo chiesto a un insegnante di crossfit di fare un breve video per insegnargli degli esercizi fisici e cominciare così un allenamento a distanza.

Un ragionamento sull’accesso alla rete. In questi giorni ci stiamo rapportando a questi piccoli esseri mitologici chiamati “giga”, favolosi eterei numeri che permettono di continuare e implementare il contatto e il prodotto scolastico anche senza zaino e presenza. Mai come adesso sono diventati essenziali, mai abbastanza, indispensabili. La quantità di traffico dati a disposizione della famiglia adesso marca l’enorme differenza di risposta alle richieste scolastiche: come sempre chi ha di più ha più possibilità, chi ha meno resta indietro.

Gli orari della giornata. Adesso che non ci sono le routine a scandire i tempi, le famiglie fanno fatica a gestire lo scorrere delle ore che sembrano essere tutte uguali. Darsi un tempo e darsi tempo, ecco le due verità connesse e importanti. Darsi tempo per abituare e darsi un tempo per ogni cosa del quotidiano. Sembra facile: non lo è, specie in famiglie numerose, costipate in spazi angusti, dove uomini e donne non hanno le stesse possibilità e le esigenze dei bambini sono diverse a seconda della fascia anagrafica.

Serve una continua stimolazione da parte nostra nei loro confronti, perché si diano un tempo per la sveglia, uno per i pasti, uno per i compiti e poi altri per il gioco, la tv, l’andare a letto. Non essendoci l’autorità esterna (come la scuola) a dettare i ritmi a volte le donne più fragili, con basso livello di scolarizzazione, isolate dal resto della comunità per forza maggiore, prive dell’apporto maschile nell’educazione dei figli si trovano in balia dei desideri incontrollati dei bambini.

In molte famiglie straniere si sono rovesciati i rapporti d’autorità, e sono i bisogni dei bambini, spesso disorganici e istintuali, a dettare le condizioni alle madri. La nostra videochiamata di supporto alla genitorialità scalfisce un po’ l’onnipotenza del minore riportando l’autorità della madre nella giusta posizione, ma occorre continuare a sentirci e a parlarci per far sì che il tempo non corroda le forze.

Sono primi passi, forse insufficienti ma comunque importanti per ogni famiglia, che comportano l’impiego di molte forze.
Oggi più che mai il motto è: mantenere il contatto con tutti i mezzi possibili!

Scopri la nostra area di progetti per le famiglie

(paola franco e l'equipe di genitori e figli del gruppo abele)

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