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NotizieUn punto di vista istituzionale ma anche molto umano

Con l'ultimo Dpcm e le conseguenti proteste di piazza si è parlato di "rabbia delle periferie che esplode" e di "giovani che hanno voglia di fare casino". A Torino in particolare è finito sotto accusa il quartiere Barriera di Milano. La voce istituzionale e umana che spiega le caratteristiche del tessuto sociale del quartiere alle prese con la pandemia

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Proviamo a fare il punto con Carlotta Salerno, presidente della Circoscrizione VI, Barriera di Milano appunto. Che innanzitutto nota le differenza fra quanto successo a marzo scorso e quanto si osserva oggi in termini di tenuta sociale. La cosiddetta “prima ondata” della pandemia è stata accolta con spavento ma anche con un certo grado di consapevolezza. C’è stato uno sforzo di unità, una maggiore volontà di comprendere cosa stesse accadendo e di agire collettivamente per governarlo. Si pensava “è un momento brutto, ma passerà se tutti facciamo la nostra parte”. A distanza di mesi, ritrovarsi nella stessa situazione innesca reazioni meno virtuose eppure comprensibili. Cresce il senso di ingiustizia sociale, cala la fiducia nelle decisioni prese dalla classe dirigente.
Carlotta aggiunge un’osservazione non scontata. Molte persone di origine straniera, dice, hanno una diversa percezione della malattia e persino della morte. Non considerano l’ospedalizzazione e la cura come qualcosa di garantito, né l’aspettativa di vita fino a un’età ragguardevole come quasi ovvia. Anche per questo si approcciano all’emergenza sanitaria con maggiore fatalismo e in alcuni casi faticano a rispettare le regole della prevenzione. In particolare gli adolescenti, che a questo tratto culturale associano un naturale istinto alla disobbedienza, ma anche gli anziani, dai quali si fa ancora fatica a ottenere collaborazione. E questo, mi assicura, malgrado gli agenti della polizia municipale intervengano sempre con spirito pedagogico e non sanzionatorio, per accompagnare e incoraggiare a una maggiore disciplina. I bambini piccoli, anche grazie all’allenamento in ambiente scolastico, sono invece i più rispettosi. Però non vedono una corrispondenza dei loro sforzi tutt’intorno, e questo li fa arrabbiare, così come in rabbia trasformano le crisi che respirano in famiglia.

Un territorio come Barriera di Milano vive molto di rapporti economici informali, di un lavoro sommerso che in questo momento viene a mancare lasciando le persone senza paracadute. Paradossalmente, a soffrirne di più è chi normalmente non si trova in una situazione di fragilità tale da dover ricorrere alle reti di sostegno. Oggi anche queste persone sono costrette a chiedere aiuto, ma devono affrontare uno scoglio psicologico per farlo. E i loro figli, piccoli o grandi, respirano questa sofferenza, ributtandola fuori come sono capaci.
La contrazione delle opportunità, già scarse in partenza, getta una luce fosca sul futuro immediato. E le prospettive quanto mai incerte sulla fine dell’emergenza accorciano il respiro di qualsiasi iniziativa. Ma è importante che nessun bambino o ragazzo venga lasciato solo ad affrontare tutto questo. E che nessuno cada vittima di quella che Alda e Kenza definiscono “la profezia che si autoavvera”: sei di Barriera, sarai sempre frustrato a meno che non ti vada a prendere con la forza ciò che ti pare irraggiungibile diversamente.

Il primo capitolo:

Il secondo capitolo:

(cecilia moltoni)

In questo articolo Giovani, Lotta alla povertà

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