NotizieNon studio, non lavoro, non guardo la tv...

L'educazione non è un rapporto esclusivo tra genitore e figlio, o tra insegnante e alunno, o ancora tra educatore e ragazzo. Se è vero che ad educare è l'intero contesto, allora è doveroso richiamare tutte le agenzie, istituzioni comprese, alla corresponsabilità educativa: è necessario costruire delle (micro)reti, stipulare delle alleanze, stringere un vero e proprio patto educativo

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“…Non vado al cinema non faccio sport”, continuava Giovanni Lindo Ferretti, che così cantava il disagio giovanile negli Anni ‘80. Oggi si parla invece di Neet (Not engaged in Employment, Education or Training), ma la sostanza è sempre quella: si indicano con questo acronimo inglese quei giovani che sono al di fuori di ogni percorso scolastico, formativo e lavorativo. Sono usciti in questi giorni i dati Esde 2017, pubblicati dalla Commissione Europea: in Italia 19.9% di Neet fra 15 e 25 anni, record a fronte di una media europea pari al 11.9%. Con tutte le conseguenza che questa condizione provoca sul presente e sulle possibilità di costruire il proprio percorso di vita.
La situazione è grave. E ben nota. I dati sono corrispondenti a quanto incontriamo nel nostro lavoro, tra i tanti ragazzi delle periferie delle nostre città. Molti dei ragazzi disoccupati di Barriera di Milano o di Regio Parco – che la nostra educativa di strada incontra settimanalmente – non sono quei giovani con un elevato titolo di studio che non riescono a trovare uno sbocco lavorativo adeguato alle loro aspirazioni e decidono, a un certo punto, di lasciare il nostro Paese per cercare la loro strada all’estero. Sono, invece, ragazze e ragazzi che hanno abbandonato precocemente gli studi e molte volte hanno in tasca la sola licenza media. La sfiducia diffusa nei confronti delle istituzioni coinvolge anche la scuola, che non è più vista, dai ragazzi e dalle loro famiglie, come un mezzo per costruirsi un futuro ed elevarsi socialmente. È considerato più redditizio contribuire al reddito familiare con piccole economie sommerse, dalla raccolta di ferrivecchi a lavoretti occasionali in edilizia o nei mercati rionali. Domina il pessimismo, alimentato dai mass media e dalle narrazioni dominanti, fioriscono visioni del mondo demagogiche e si sgretola la coesione sociale.

Cosa possiamo fare come educatori per sostenere questi ragazzi e accompagnarli in percorsi positivi di crescita e di costruzione di un proprio progetto di vita? Innanzitutto possiamo stare loro vicini a partire dai contesti che vivono. Far sentire che loro, per noi, sono importanti. È doveroso rompere la spirale del pessimismo: senza vendere illusioni, certo, ma richiamandoli, in maniera equilibrata, alla responsabilità individuale. È importante, per rimotivarli e per accrescere la loro autostima, saper riconoscere e valorizzare le loro competenze, piccole o grandi che siano. Ecco che riparare con successo una bicicletta, mettendo in campo le doti di manualità, diventa una piccola esperienza gratificante, positiva, con un risultato immediato e tangibile, sotto gli occhi di tutti e quindi riconoscibile dal gruppo e anche dagli adulti. E se la bicicletta riparata appartiene alla bambina marocchina che viene al parco con la mamma, o all’anziana che abita sopra il giardino, ecco che abbiamo stimolato nuove relazioni e potenzialmente nuovi legami, anche in chiave interculturale e intergenerazionale.
È importante proporre ai ragazzi esperienze nuove e belle, diverse dal solito, al di fuori dei contesti abituali. L’incontro con figure adulte con uno sguardo curioso e appassionato sul mondo, può stimolare in loro spirito critico, può aiutarli a disconoscere stereotipi e pregiudizi dominanti.

È utile ed efficace saper valorizzare gli esempi positivi tratti dal loro contesto, che non mancano: può essere il caso del fratello maggiore o dell’amico che ha trovato lavoro dopo aver accolto la proposta dell’educatore di frequentare un corso di formazione professionale, anche se magari erano cinque anni che non metteva piede in un’aula.
È utile ed efficace stringere un’alleanza con altre figure positive del loro contesto familiare o di vicinato: anche perché non dobbiamo mai dimenticarci che ogni singolo intervento educativo, che sia “di strada”, “di territorio” o “di comunità”, al di là delle etichette, è sempre e comunque parziale. L’educazione non è un rapporto esclusivo tra genitore e figlio, o tra insegnante e alunno, o ancora tra educatore e ragazzo. Se è vero che ad educare è l’intero contesto, allora è doveroso richiamare tutte le agenzie, istituzioni comprese, alla corresponsabilità educativa: è necessario costruire delle (micro)reti, stipulare delle alleanze, stringere un vero e proprio patto educativo.

(l’équipe dell'Educativa di Strada del Gruppo Abele)

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