violenza donne

NotizieNon chiamatela "amore": troviamo le parole per raccontare la violenza senza compromessi

Una delle scrittrici noir e thriller più amate d'Italia. Una donna impegnata, sempre attenta al mondo che le sta intorno, di cui scrive e parla con cruda e spietata lucidità. Sara Bilotti non ha mai evitato, nelle sue interviste e nei suoi romanzi, la questione della violenza di genere, sia essa maturata in ambito familiare o no. Ha sempre trovato le parole per raccontare, denunciare, incitare a un cambio di rotta, essenzialmente culturale, schierando la sua letteratura senza mezzi termini. L'abbiamo intervista, per il #25novembre

  • Condividi



Una delle scrittrici noir e thriller più amate d’Italia. Una donna impegnata, sempre attenta al mondo che le sta intorno, di cui scrive e parla con cruda e spietata lucidità. Sara Bilotti non ha mai evitato, nelle sue interviste e nei suoi romanzi, la questione della violenza di genere, sia essa maturata in ambito familiare o no. Ha sempre trovato le parole per raccontare, denunciare, incitare a un cambio di rotta, essenzialmente culturale, schierando la sua letteratura senza mezzi termini.
L’abbiamo intervistata, per il #25novembre.

“Si parla molto poco di amore per il carnefice (...) L'odio e l'amore mischiati sono il danno più grande che un essere umano possa subire". Queste sono le parole che, qualche anno fa, hai pronunciato rispondendo a un'intervista e riferendole all'abuso familiare. Sulla violenza di genere, violenza di uomo su donna, familiare e non, il dibattito si arena e spesso di incaglia proprio su queste due categorie: odio e amore. Succede così che i media, spesso, confondano le cose e presentino vicende violente come semplici conseguenze di troppo amore. Come va letto tutto questo?
Quando la violenza scoppia nel nido si verifica una sorta di imprinting: s’impara l’amore misto alla rabbia. E purtroppo capita che da adulti si accettino anche per anni forme d’amore tossico e violento. Puntare il dito contro le donne che subiscono violenza non fa che alimentare nella vittima la sensazione di meritare una punizione, tipica dei bambini vittime di abuso familiare. Ad accompagnare le notizie di donne vittime di violenza o persecuzione ci sono spesso frasi che accreditano l’idea, per molti confortante, secondo cui la violenza è frutto di istinti estemporanei, imprevedibili, improvvisi (“raptus incontrollabile”, “accecato dalla gelosia”, e così via), allontanandoci dalla comprensione che la violenza, soprattutto quella familiare, scoppia spesso dopo fasi progressive, che vanno dall’aggressività verbale alla violenza psicologica, fino ad arrivare in alcuni casi al femminicidio. Tale comprensione è fondamentale affinché sia la vittima che le autorità possano riconoscere il pericolo ai suoi esordi, dunque prevenirlo.

Perché in Italia la violenza sulle donne continua a essere ridimensionata al punto tale da alludere, nei casi di violenza, a una sorta di complicità della donna? E qual è il cambiamento da mettere in atto?
Accade che non venga riconosciuto alle donne il ruolo di vittime, a causa di retaggi culturali che vedono la violenza contro le donne, in particolar modo quella domestica, come un problema neanche tanto grave, e comunque da risolvere all’interno delle mura di casa.
Negli ultimi anni, l’attenzione al problema ha fatto sì che fossero messi in atto dei provvedimenti giudiziari più efficaci, che però non bastano. Bisognerebbe ripartire da una comunicazione diretta e precisa, a cominciare dalle scuole, per contrastare una cultura e un’informazione ancora troppo permeate da stereotipi e pregiudizi che non permettono di avvertire a un livello profondo la gravità di tali atti di violenza. Attuare una rivoluzione culturale richiede tempo, ma è possibile. Ciò che possiamo fare tutti, nel frattempo, è cambiare il linguaggio per descrivere la violenza contro le donne. Le parole sono importanti. Ci plasmano, esattamente quanto l’esperienza. Chi picchia una donna non dovrà più essere “un uomo accecato dalla gelosia” ma un criminale. Chi uccide una donna non dovrà più essere “un uomo fuori di sé per un attacco d’ira”, ma un assassino.

La letteratura ha raccontato fenomeni importanti, contraddizioni sociali e mutamenti storici. L'ha fatto - random - con l'antifascismo, i ragazzi di periferia, lo sfruttamento lavorativo, le tematiche ambientali, le dinamiche criminali e mafiose: qual è o quale può essere invece il suo ruolo rispetto alla violenza di genere?
Il ruolo della letteratura rispetto alla violenza di genere è secondo me lo stesso ruolo fondamentale nel combattere ogni genere di violenza, razzismo, abuso. La letteratura ci regala un’arma potentissima: L’empatia. La affina, la rende complessa, efficace. Se nel leggere la storia di una donna vittima di violenza ci mettiamo anche per un solo istante nei suoi panni, abbiamo già sconfitto ogni stereotipo. “Anche io potrei essere lei, lui” è una vittoria su ogni genere di discriminazione, razzismo, o pregiudizio.

(piero ferrante)

In questo articolo Famiglie

Cosa facciamoDa sempre accanto agli ultimi