NotizieBaby gang: l'emergenza vera è l'incontro

Gli ultimi fatti portati dalla cronaca sulla presenza di "baby gang" non possono ridursi ad un dibattito sulla violenza o sulla mancanza di principi saldi o ancora peggio sulla necessità di una maggiore repressione.Abbiamo il dovere di comprendere i fenomeni profondi di malessere che loro, anche attraverso quei comportamenti, comunque da affrontare, ci portano

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Da un mese circa andavamo ai giardini di piazza Sofia per incontrare e conoscere i minori stranieri. L’emergenza del momento erano i minori stranieri non accompagnati e lo spaccio di sostanze stupefacenti; la richiesta fatta agli educatori era di andare nelle loro zone di ritrovo e socializzazione per cercare di capire le dinamiche migratorie e quelle della microcriminalità. Era il 2007.
Amir, ragazzo di origine marocchina di circa 13 anni, era il piccolo leader di un gruppetto di maghrebini. Quella zona dei giardini era sotto “la sua protezione”. Ad un certo punto arrivano alcuni ragazzi di origine rumena e chiedono con aria strafottente chi fossimo noi e perché eravamo lì. Amir si avvicina a noi e dice: “Loro vengono qui per noi, ci fanno fare diverse cose per evitare di farci fare cazzate. Loro ci fanno vedere che esiste altro”.
Da allora non abbiamo mai più sentito definizione più azzeccata di “educatore di strada”.
La strada, le strade delle città cambiano costantemente e in qualche modo rispecchiano i cambiamenti delle politiche nazionali e dell’andamento del benessere cittadino.
Oggi città come Napoli, Milano, Torino urlano a gran voce e con violenza il bisogno profondo da parte di giovanissimi di attenzione. Reclamano un ruolo sbattendoci in faccia le nostre responsabilità di cittadini, di adulti, di educatori.
Gli ultimi fatti portati dalla cronaca sulla presenza di “baby gang” non possono ridursi ad un dibattito sulla violenza o sulla mancanza di principi saldi o ancora peggio sulla necessità di una maggiore repressione.
Abbiamo il dovere di comprendere i fenomeni profondi di malessere che loro, anche attraverso quei comportamenti, comunque da affrontare, ci portano. Troppo facile giudicare, troppo comodo non sporcarsi le mani.
Utile è un’analisi delle opportunità che questi giovani hanno a disposizione, fondamentale è ascoltarli.
Una canzone che va molto di moda adesso dice: “qua non ti ascoltan quando hai sete, ti stanno addosso quando bevi”. I ragazzi e le ragazze hanno sete, tanta sete. Di conoscenza, di dire la propria idea, di sbagliare, di errare, di confrontarsi con le emozioni, di confrontarsi con il mondo adulto.
Quando ci dicono con gentilezza e timidezza che hanno sete non li ascoltiamo. Però, tagliamo i servizi di sostegno alla genitorialità, tagliamo i fondi ai centri di aggregazione giovanili.
Intanto questi ragazzi si ritrovano nei luoghi che sembrano più accessibili e con meno aspettative: la strada oppure il luogo del consumo per eccellenza: il centro commerciale.
Sono esseri invisibili. Fino a quando non “bevono”. Fino a quando non circondano una signora con la figlia che sta facendo shopping con la piccola e le picchiano.
Ecco allora attivarsi i media, consigli di pedagogia, massimi sistemi sulle colpe dei genitori e, per finire, il bisogno del pugno forte con loro. E rispondiamo alla violenza con altrettanta violenza.
Quello che noi pensiamo sia necessario da subito e con continuità è la presenza di educatori nei luoghi di aggregazione giovanili, nelle strade, nei parchi, nei centri commerciali, anche.
Figure adulte che vivono alcune ore e per diverso tempo la quotidianità del loro percorso di crescita, con loro. Figure di cui imparano a fidarsi e con cui si possono confidare. Presenze che possono fare da collegamento tra i desideri nascosti di questi ragazzi e le politiche cittadine. Possono diventare filo rosso tra i giovani e le loro famiglie, che possono e devono essere sostenute. Possono essere figura di riferimento per gli insegnanti che non riescono a seguire ogni singolo caso.
Aumentare la presenza di educatori di strada farebbe nel lungo periodo risparmiare sui fondi destinati al controllo e alla repressione, farebbe diminuire episodi di microcriminalità.
L’occhio dell’educatore, inoltre, permette di avere un punto di vista privilegiato sulle dinamiche di strada, sui nuovi consumi, sulle nuove strategie dei gruppi.
Il Gruppo Abele nasce e continua a stare accanto a questi giovani sulla strada, in Barriera di Milano, a Madonna di Campagna. Anni di presenza in strada ci danno la possibilità di incontrare centinaia di ragazzi e le loro famiglie, e di contribuire a realizzare piccoli cambiamenti di luoghi di solitudine e spesso di bruttezza.
A Torino ci sono altre realtà associative che vanno a presenziare praticamente tutte le circoscrizioni. Insieme abbiamo deciso di creare un tavolo di coordinamento delle educative di strada per monitorare gli eventi, per seguire meglio i singoli ragazzi che girano per la città, per elaborare strategie di intervento educative.
Oggi l’emergenza è un’altra, solo nell’apparenza delle forme. Ma la richiesta di incontro, conoscenza, relazione, rimane la stessa.

(sabrina sanfilippo, Educativa di Strada del Gruppo Abele)

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