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NotizieConciliare famiglia e lavoro da casa: la nuova sfida delle donne

Cosa significa e cosa ha significato, in particolare per le donne, lavorare da casa durante la pandemia? Come bilanciare l'attenzione alla famiglia e l'impegno lavorativo: punti deboli e situazioni di conflitto

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Da lunedì 15 marzo il Piemonte e diverse altre regioni italiane sono zona rossa. Tra le misure più restrittive, la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado con l’introduzione (o la conferma) della didattica a distanza. La notizia ha immediatamente fatto scattare, nella testa dei genitori, la domanda sulla gestione dei figli. I più grandi saranno impegnati con le attività scolastiche a distanza, che richiedono un certo tipo di attenzione, i più piccoli non sono autonomi e non possono essere affidati a se stessi. I genitori devono continuare a lavorare: fuori o dentro casa, è arduo conciliare l’attività lavorativa con la presenza dei bambini. Qualcuno potrebbe in teoria contare sull’aiuto dei nonni, ma… sono tra le fasce più deboli e non dovrebbero essere esposti a rischi di contagio.

Giulia Bacci, studentessa tirocinante in Psicologia, nei mesi scorsi si è chiesta: “Cosa significa e cosa ha significato, in particolare per le donne, lavorare da casa durante la pandemia?”. Le risposte e l’analisi del contesto sociale sono ora affidate alle pagine della sua tesi di laurea Work-family conflict e smart working: un’indagine esplorativa durante la pandemia di Covid-19.
“Ho raccolto - racconta Bacci - le difficoltà e i problemi dalla mia rete informale di conoscenze: lavoratrici che, di punto in bianco, hanno dovuto riorganizzare il proprio lavoro conciliandolo con la vita domestica. Con gli spazi casalinghi condivisi con i figli e con mariti non così abituati a stare in casa. Con la professoressa Daniela Converso ci siamo dunque chieste quale legame ci fosse tra lo smart working e il work family balance”. Tre i conflitti lavoro-famiglia analizzati: l’interferenza dei ruoli nell’uso del tempo, la tensione domestica e i comportamenti trasferiti all’interno del nucleo familiare.

L’autrice ha affrontato il tema dello smart working anche sotto il profilo giuridico. La materia è stata inserita nei provvedimenti legislativi di riforma del diritto del lavoro in Italia nel 2014-2015, che specificano che il lavoro agile è per obiettivi, per fasi, per cicli, senza orario né sede stabiliti. “In Italia da allora - denuncia Bacci - non è stato molto implementato, al netto di alcune pubbliche amministrazioni o multinazionali. Ciò si è tradotto nell’incapacità di affrontare il cambio repentino di modalità di lavoro indotto dalla pandemia: mancano gli strumenti adeguati e la forma mentis adatta”.
Per testare la relazione tra work-family conflict e smart working è stato ideato un questionario online, sottoposto a un campione di lavoratori che avessero effettuato smart working durante la pandemia e che avessero almeno un figlio convivente al di sotto dei quattordici anni. Ai questionari hanno risposto 204 lavoratori, di cui l’87,7% donne, per la maggior parte (119 su 179) di età tra i 41 e i 50 anni; la fascia di età più rappresentata per i figli è invece quella 5-9 anni. Le donne hanno segnalato la maggiore interferenza nel tempo e la tensione che si genera vivendo questa situazione, mentre dalle risposte degli uomini si evince che per loro è più difficile passare più tempo a casa. “Ciò che mi ha colpito di più - conclude la ricercatrice - è che il fatto di passare più tempo in famiglia non sia stato evidenziato come un punto di forza, al contrario del tempo e del denaro risparmiati per andare e tornare dal lavoro”.
Il tema ha riguardato anche le donne e le lavoratrici del Terzo settore, che come Università della Strada abbiamo incontrato in questi mesi, nelle nostre formazioni online. Anche in questo contesto, abbiamo osservato la difficile conciliazione delle sfere lavorative e di vita familiare in tempi di pandemia. Per molte lavoratrici non è cambiato solo il luogo di lavoro, il grande sforzo è stato quello di trovare un paradigma della relazione di aiuto, mediato dal telefono, dal computer… da fare in tempi “agili”, trovando un nuovo medium relazionale. Ci ritroveremo a riflettere nuovamente su queste tematiche nei percorsi di formazione continua e con attività di prevenzione in contesti educativi, continuando a favorire lo sviluppo di atteggiamenti meno stereotipati e più vicini alla reale condizione femminile e ai reali bisogni delle donne.

(marika demaria, Università della Strada del Gruppo Abele)

In questo articolo Cultura e formazione, Famiglie

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