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NotizieDAD: a patto di non dimenticare Socrate

Se per scuola s'intende fare lezione la DAD non è un grande svantaggio; se invece la affrontiamo come esperienza collettiva di scoperta, dove ciascuno è portatore di punti di vista differenti che vanno contemperati nel confronto e nel dialogo, allora c'è bisogno di vicinanza, di relazione personale, di "philo" sia per "sophía" sia per le persone con le quali condividiamo il processo di ricerca

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La didattica a distanza è una iattura. Questo, in sintesi, il giudizio prevalente di chi è stato coinvolto nella principale conseguenza scolastica dell’emergenza Covid. Giudizio che mi riguarda, in quanto insegnante e padre, che ho colto nei discorsi di colleghi e genitori, nelle parole e negli sguardi di allievi e figli: un senso di frustrazione e un gran desiderio di tornare alla normalità, cioè alla presenza.

Si potrebbe credere che per gli insegnanti la scuola a distanza sia comoda, faccia lavorare meno. So di Dirigenti Scolastici che hanno chiesto ai docenti una rendicontazione dettagliata delle ore lavorate a distanza, preoccupati di arrecare danno all’erario. Richiesta legittima ma che ha lasciato un po’ attoniti insegnanti che si trovavano a passare serate che diventavano notti per domare software, piattaforme, applicazioni. Certo, non tutti. Qualcuno ha tirato i remi in barca. Ma la maggior parte ha affrontato la sfida di reinventarsi il mestiere. Per dedizione professionale più che per appartenenza generazionale. Conosco insegnanti, andati sommessamente in pensione con la DAD, che hanno trascorso gli ultimi mesi di carriera a produrre video e presentazioni multimediali. C’è anche chi si è appassionato alle nuove tecnologie, pur sempre smanioso di tornare a scuola per integrarle nella didattica ordinaria. Sono rari gli insegnanti che scambierebbero la modalità in presenza con quella a distanza.

Si poteva credere che per gli allievi la DAD sarebbe stata una pacchia. Inizialmente il Coronavirus è apparso come un evento simile alle grandi nevicate: scuola chiusa, tutti a casa, evviva. Ma appena sono emerse la gravità e le dimensioni del fenomeno, ciò che sembrava una semi-vacanza ha iniziato presto a essere vissuta con un senso d’inquietudine. Abbiamo visto gli scioperi contro la DAD. Ho visto gli occhi di mio figlio di sette anni fissare stranito i compagni e le maestre nel monitor e voltarsi supplicanti verso di me, al suo fianco, a chiedere “quando torniamo a scuola?”. Credo che tutti gli studenti in DAD, anche i più svogliati, abbiano provato nostalgia per la vita d’aula e che molti si siano preoccupati per il rallentamento e l’impoverimento del percorso di studio.

Per i genitori, infine, che la didattica a distanza non portasse nulla di buono è stato chiaro da subito. Dover gestire i figli in casa e contemporaneamente badare alle esigenze di lavoro, spesso senza poter contare sull’aiuto dei nonni per non esporli a rischi di contagio, è stata una dura prova. In particolare per chi ha accompagnato figli piccoli, non autonomi in DAD, improvvisando una sorta di scuola domestica dove mamma-papà erano anche maestra-maestro, con una nefasta commistione di ruoli. Dura prova in particolare per le famiglie numerose, che hanno affrontato situazioni convulse, con più figli in video lezione, genitori in smart working, tutti a contendersi device e connessione Internet.

Ecco, il divario tecnologico: con la DAD è quasi impossibile evitare dinamiche discriminatorie verso chi è poco performante nell’accesso alla rete; dinamiche che inesorabilmente penalizzano le fasce sociali più deboli, creando esclusione, dispersione scolastica. Tra i più sfavoriti dalla DAD, sono sicuramente gli allievi disabili che richiedono un’attenzione personale impraticabile nel rapporto a distanza.

Detto tutto questo, meglio la DAD che nulla. Che cosa sarebbe accaduto senza la tecnologia che ci ha permesso comunque di continuare a fare scuola seppure a distanza? Come avremmo gestito la situazione se la pandemia avesse colpito dieci anni fa?

Qualcosa di buono, poi, l’irruzione della didattica a distanza l’ha portato. Nella formazione universitaria e, in generale, degli adulti, la DAD ha delle potenzialità. Inoltre ha dato una sferzata allo sviluppo delle competenze digitali di insegnanti e allievi, che torneranno utili anche in futuro.

Resta, però, l’esperienza comune che la didattica a distanza finisca per snaturare il senso più profondo del fare scuola, ed è su questo che dobbiamo interrogarci: cosa toglie la DAD di così prezioso? La risposta è banale, tautologica ma illuminante: la vicinanza. Come quando una malattia ci limita in aspetti di vita fondamentali (vedere, respirare, camminare…) e ci fa riscoprire l’importanza di ciò che di solito diamo per scontato, così l’emergenza Covid a scuola ci fa apprezzare proprio l’elemento che ci ha tolto, a cui in genere non pensavamo: il valore della vicinanza nelle relazioni tra insegnante e allievo, e degli allievi tra loro.

Questa riscoperta può essere letta come l’ennesima rivincita di Socrate. Volendo risalire alle origini, infatti, torniamo sempre lì, alla dualità tra i sofisti e Socrate. Sappiamo che i sofisti guardano all’uomo come individuo nella sua singolarità, mentre Socrate lo considera per ciò che ha in comune con gli altri uomini; per i sofisti la scuola è insegnare, per Socrate è aiutare ad apprendere. Storicamente la logica dell’insegnamento professata dai sofisti è risultata vincente; ma è la metodologia dell’apprendimento sostenuta da Socrate che conserva un valore pedagogico permanente.

Se per scuola s’intende fare lezione la DAD non è un grande svantaggio; se invece la affrontiamo come esperienza collettiva di scoperta, dove ciascuno è portatore di punti di vista differenti che vanno contemperati nel confronto e nel dialogo, allora c’è bisogno di vicinanza, di relazione personale, di “philo” sia per “sophía” sia per le persone con le quali condividiamo il processo di ricerca.

La deriva della didattica a distanza rischia di essere la stessa di quelli che paradossalmente chiamiamo social, vale a dire l’isolamento delle persone e delle opinioni (tant’è che i sofisti basavano il procedimento conoscitivo proprio sull’opinione e non sulla ragione), fino alle perversioni della cosiddetta post-verità che, come afferma Maurizio Ferraris, è “l’atomismo di milioni di persone convinte di aver ragione non insieme, ma da sole”. No, fare scuola è stare insieme, davvero: la tecnologia non può sopperire la vicinanza fisica.
Quando comunichiamo attraverso la webcam è impossibile guardarsi contemporaneamente e reciprocamente negli occhi: è bene tenerne conto.

(claudio calliero, insegnante di scuola primaria e docente di didattica)

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