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NotizieGiovani e carcere, il ruolo fondamentale degli educatori

L'allarme è stato lanciato nei giorni scorsi da Monica Gallo, Garante dei detenuti di Torino: sotto la Mole, ogni 36 ore entra in carcere un giovane tra i 18 e 24 anni e attualmente un detenuto su sette della casa circondariale Lorusso e Cutugno appartiene a questa fascia d'età. Le cause non sono semplici da capire. Ne abbiamo parlato con il Garante dei detenuti della Regione Piemonte Bruno Mellano

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L’allarme è stato lanciato nei giorni scorsi da Monica Gallo, garante dei detenuti di Torino: sotto la Mole, ogni 36 ore entra in carcere un giovane tra i 18 e 24 anni e attualmente un detenuto su sette della casa circondariale Lorusso e Cutugno appartiene a questa fascia d’età. Le cause non sono semplici da capire, spesso neanche ovvie, e vanno ricercate nel tessuto socio-politico-culturale in cui i ragazzi crescono. E nell’impatto che la pandemia ha avuto sui più giovani. Ne abbiamo parlato con il garante dei detenuti della Regione Piemonte Bruno Mellano.

Al Lorusso e Cutugno si è registrato un forte aumento di nuovi ingressi di persone sotto i 25 anni. Come si può spiegare una tale crescita?
“Effettivamente una crescita c’è stata, anche se parliamo di decine di persone, non migliaia, basta infatti una retata il sabato sera per far aumentare la statistica. In particolare a Torino è capitato che evidenti situazioni di disagio giovanile nelle periferie, con problematiche di inserimento sociale, sfociassero in fatti violenti e criminali. Il palcoscenico di quegli episodi inoltre è stato spesso il centro cittadino, elemento che ha reso il fenomeno più evidente”.

Una causa può essere l’assenza di spazi d’aggregazione per i giovani, soprattutto nelle periferie?
“Il problema è più complesso, anche se i luoghi d’incontro sono ovviamente sempre utili. Se i ragazzi hanno a disposizione spazi dove realizzare un protagonismo sociale virtuoso, dove esprimersi positivamente vanno nella giusta direzione, non cercano altre strade. Ma non ne farei un vaso comunicante così netto, la questione non sono solo gli spazi ma anche e soprattutto come riempirli. Servono animatori sociali che presidino questi spazi, professionisti che agiscano sui ragazzi, inserendosi nelle situazioni a rischio, ascoltandoli, accogliendoli e aiutandoli a trovare la loro strada.
Negli ultimi anni, tra social media e lockdown, i giovani hanno vissuto in bolle autoreferenziali chiuse, bolle che occorre far esplodere creando luoghi virtuosi con formatori ed educatori”.

Cosa pensa del daspo urbano, che ha reso il centro off limits alle cosiddette baby gang?
“È difficile dare un giudizio. In certi casi il centro storico è diventato per i ragazzi un luogo dove essere protagonisti, anche se in modo negativo. Vietare loro di abitarlo non elimina il problema, lo sposta solo in un altro luogo".

Il carcere può avere un’utilità rieducativa per i giovani?
“Bisogna distinguere tra carcere minorile e per adulti. Mentre per i maggiorenni l’Italia è stata penalizzata e sanzionata due volte dagli organismi europei, il minorile è un modello che funziona anche a livello europeo. Qui il carcere diventa residuale, si sperimentano prima strumenti alternativi come i domiciliari, le comunità e altre misure che tengono conto dei contesti personali. In linea di massima, al carcere si ricorre solo per i reati più gravi. Il carcere dovrebbe essere certezza di rieducazione oltre che sicurezza della pena, i dati del carcere per adulti dicono che se non si creano percorsi di rinserimento sociale c’è il rischio del 70% di recidiva. Iter scolastici e lavorativi offrono invece chance concrete e la recidiva scende sotto il 10%. Occorre insistere in questa direzione, va innanzitutto aumentato il numero di formatori ed educatori”.

(emanuele orrù)

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