Gli Icam e la detenzione delle madri: una questione irrisolta

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In occasione dell'esposizione della mostra "Che ci faccio io qui?" e dopo i fatti di cronaca di Rebibbia, abbiamo intervistato Bruno Mellano, Garante dei Detenuti del Consiglio Regionale del Piemonte per chiedergli un'opinione in merito alla situazione in Italia degli Istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam)

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Gli ultimi dati ufficiali del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria risalgono ai primissimi giorni di settembre e sono riferiti al 31 agosto. I numeri dipingono questa situazione: 190 carceri per 59.136 detenuti (quasi 10 mila in più della capienza ammessa), 2.551 donne, 52 delle quali con 62 figli a seguito, ripartite tra 15 istituti penitenziari e soli 5 Icam (Milano San Vittore, Venezia Giudecca, Cagliari, Lauro e Lorusso-Cotugno di Torino). Ovvero, Istituti a custodia cautelare attenuata per detenute madri: quei luoghi in cui, stando alla ratio della legge 62 dell'aprile del 2011, i bambini avrebbero goduto di condizioni non propriamente detentive. E invece, sette anni dopo, la situazione resta critica. Numeri da crisi, da emergenza.

Casi di cronaca come quello avvenuto nel carcere di Rebibbia, dove una madre detenuta ha ucciso i suoi due figli, casi poco frequenti ma comunque emblematici, riportano alla luce la necessità di riaprire il dibattito su queste detenzioni.

Anche approfittando dell'esposizione della mostra Che ci faccio io qui?, che raccoglie per l'agenzia Contrasto gli scatti dei fotografi Luigi Gariglio, Marcello Bonfanti, Francesco Cocco, Mikhael Subotzky e Riccardo Venturi e che immortala proprio la condizione delle madri incarcerate con i propri figli, abbiamo intervistato Bruno Mellano, Garante dei Detenuti del Consiglio Regionale del Piemonte. La mostra, inaugurata lo scorso 10 di settembre, resterà in esposizione fino al 17 ottobre presso l'Urp del Consiglio regionale piemontese, a Torino, in via dell'Arsenale 14/g.

(piero ferrante)

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