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NotizieHomeless, il posto letto non può essere l'unica risposta

"Non fate l'elemosina agli homeless, per loro il centro è un bancomat. Per questo rifiutano le soluzioni offerte dalla città".  Parole spiazzanti quelle del comandante della municipale, Emiliano Bezzon. Risponde, con le sue riflessioni, Patrizia Ghiani, coordinatrice dell'Area Povertà e Inclusione sociale del Gruppo Abele

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Non fate l’elemosina agli homeless, per loro il centro è un bancomat. Per questo rifiutano le soluzioni offerte dalla città”. Parole spiazzanti quelle del comandante della polizia municipale di Torino Emiliano Bezzon, intervistato il 27 gennaio da La Stampa. Risponde, con le sue riflessioni, Patrizia Ghiani, coordinatrice dell’Area Povertà e Inclusione sociale del Gruppo Abele.

La complessità delle storie delle persone senza fissa dimora è nota solo a chi le ascolta e il rifiuto di un posto letto in cui passare la notte non ci racconta nulla di queste storie. Non ci piace vederle in centro e neanche in periferia, ma in centro ci danno più fastidio, lì dove la città si vuole fare bella.
Interroghiamoci su cosa porti una persona in difficoltà a rifiutare l’aiuto che le stiamo offrendo. Forse il posto letto non è la risposta di cui ha bisogno o, peggio, forse ha capito che il nostro obiettivo principale è renderla invisibile agli occhi della città perbene.

Torino ha una rete viva di servizi per le persone senza fissa dimora, che monitora la situazione, che si interroga costantemente sul da farsi e si attiva per dare delle risposte e sperimentarne di nuove, ma non basta. L’affermazione del nostro Arcivescovo sui container che questo inverno sono stati collocati in via Traves (“Sono più adatti alle bestie che agli uomini. L’accoglienza deve assicurare a tutti una dignità e un’attenzione alla persona”) è una stoccata alla politica, che cerca di trovare soluzioni che rischiano di dare risposte solo parziali alle necessità delle persone senza fissa dimora. Si devono sperimentare nuove strade soprattutto nel periodo invernale, ad esempio creando piccoli centri di accoglienza nelle zone in cui gli homeless sono più presenti, invece che in un unico ampio luogo di accoglienza in zone periferiche della città.

Non dimentichiamo inoltre che quest’anno la pandemia ha reso più complicato l’accesso a quelli che erano i dormitori e che oggi sono case di accoglienza aperte ventiquattr’ore su ventiquattro. Infatti, per ovvie ragioni di tutela sanitaria, non ci si può più presentare alla porta per chiedere ospitalità, ma vi si può accedere solo dopo avere effettuato il tampone e, una volta accolte, le persone possono uscire dalla struttura solo per alcune ore al giorno e anche questa è una limitazione non facilmente accettabile, anche se fondamentale per ridurre i rischi di possibili focolai di infezione nelle case di accoglienza.

Se smettessimo di intestardirci sull’idea che in centro gli homeless non ci devono stare, forse potremmo riuscire a raggiungere i bisogni di più persone. Ma soprattutto, se la smettessimo di vedere la colpa nell’esibizione fastidiosa della povertà forse inizieremmo a vedere le persone che ci stanno dietro.



In questo articolo Lotta alla povertà

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