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NotizieIl Covid un disastro per il trattamento dell'Hiv

Nel 2019 sono state effettuate 2.531 nuove diagnosi di infezione da Hiv, che significa 4,2 nuovi casi ogni 100mila abitanti, 571 in più dello scorso anno. Restano le criticità della mancata prevenzione e dei rapporti sessuali non protetti, a cui si aggiunge la diffiicoltà dei sanitari al tempo dell'emergenza Covid

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La buona notizia, nella Giornata mondiale contro l’Aids, è che, da diversi anni, i dati sull’infezione da Hiv in Italia confermano un trend in discesa. A contenere l’ottimismo c’è però il dubbio che l’emergenza sanitaria legata ai contagi da Covid19 abbia negli ultimi mesi rallentato la raccolta dei dati, che potrebbero risultare sottostimati e vanno dunque presi con cautela.

Venendo ai numeri, nel 2019 sono state rilevate 2.531 nuove diagnosi di infezione da Hiv, che significa 4,2 nuovi casi ogni 100mila abitanti. Un’incidenza leggermente più bassa della media europea (4,7). La maggior parte delle diagnosi riguarda la fascia di età 25-29 anni, seguita da quella 30-39. L’80% è riferita a uomini. L’85% è da ricondurre a rapporti sessuali non protetti. Dal 2016 sono in diminuzione anche le diagnosi su persone straniere, che nel 2019 hanno riguardato il 25,2% dei casi.

Sono state invece 571 le segnalazioni di nuovi casi di AIDS, il 70% dei quali riguardava persone che non sapevano nemmeno di essere Hiv positive. Proprio il ritardo della diagnosi rimane il fattore più allarmante. Negli ultimi 3 anni è in crescita la quota di pazienti a cui l’infezione viene diagnosticata molto tempo dopo l’insorgenza, come testimoniano i parametri sul sistema immunitario già compromesso o la presenza di sintomi e patologie correlate all’Hiv. Nell’anno di riferimento, il problema di una diagnosi tardiva ha riguardato circa il 60% delle persone.

Per quanto riguarda il Piemonte, i dati raccolti dal Seremi (Servizio di riferimento Regionale di Epidemiologia) parlano di 123 nuove diagnosi di sieropositività nel 2019, contro le 192 riferite al 2018 e le 263 del 2017. Ma la responsabile, la dottoressa Chiara Pasqualini, mette in conto possibili ritardi nelle segnalazioni dovuti alla pandemia. A commentare l’effetto dell’emergenza Covid sul piano della gestione clinica dei pazienti sieropositivi è invece il dottor Giancarlo Orofino, dell’Ospedale Amedeo di Savoia. Che sintetizza in poche parole: è stato un disastro. E spiega come lo spostamento di risorse sui reparti Covid abbia inevitabilmente penalizzato il trattamento delle malattie croniche, quale di fatto è l’Hiv. Mentre nei centri grandi come l’Amedeo di Savoia la presenza di molti infettivologi ha consentito di mantenere un minimo servizio ambulatoriale dedicato, negli ospedali più piccoli l’unica forma di assistenza, nei mesi fra marzo e giugno e ora di nuovo, è rimasta quella telefonica. Fortunatamente le persone hanno potuto continuare a seguire da casa le proprie terapie farmacologiche.

Non si segnala per ora un’incidenza maggiore del Covid19 fra i sieropositivi. Tuttavia i primi dati rielaborati da studi inglesi dicono che, una volta infettate, per queste persone il decorso della malattia è spesso peggiore. Perciò, conclude Orofino, è importante mandare un messaggio non di paura, ma di estrema prudenza, ai pazienti in Hiv. Nella speranza che l’allentarsi della pandemia globale possa riportare quanto prima alla normalità il livello di attenzione a loro garantito dagli ospedali.

(cecilia moltoni)

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