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NotizieIl diritto d'asilo non è una concessione

"Aiutateci, vi preghiamo. I nostri figli moriranno qua". È la mattina del 3 giugno 2022 e 52 persone di origine siriana sono bloccate da giorni su una piccola isola bagnata dal fiume Evros, il confine d'acqua che separa la Grecia dalla Turchia. Il governo greco a fine maggio li ha respinti, riportandoli indietro al di là dei suoi confini, lasciandoli per oltre dieci giorni senza cibo né acqua. Tra loro, stremati dalla situazione, anche donne, minori e bambini di pochi mesi. La Corte europea dei diritti umani striglia le orecchie all'esecutivo greco: dovete farli entrare nel vostro territorio, hanno il diritto di chiedere asilo. L'ordine viene ignorato. Lo stesso accade il 10 giugno con altre 28 persone, sette donne e otto bambini. Il Tribunale tuona contro Atene ma nuovamente l'appello viene fatto cadere nel vuoto. Qualche centinaia di chilometri più a Nord, nel frattempo, migliaia di profughi ucraini attraversavano i confini dei Paesi dell'est Europa, dalla Polonia all'Ungheria, passando per Romania, Slovacchia e Moldavia per cercare protezione in Europa. Frontiere aperte, politiche di accoglienza, il diritto che apparentemente torna ad essere utilizzato per proteggere la persona umana

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“Aiutateci, vi preghiamo. I nostri figli moriranno qua”. È la mattina del 3 giugno 2022 e 52 persone di origine siriana sono bloccate da giorni su una piccola isola bagnata dal fiume Evros, il confine d’acqua che separa la Grecia dalla Turchia. Il governo greco a fine maggio li ha respinti, riportandoli indietro al di là dei suoi confini, lasciandoli per oltre dieci giorni senza cibo né acqua. Tra loro, stremati dalla situazione, anche donne, minori e bambini di pochi mesi. La Corte europea dei diritti umani striglia l’esecutivo greco: dovete farli entrare nel vostro territorio, hanno il diritto di chiedere asilo. L’ordine viene ignorato. Lo stesso accade il 10 giugno con altre 28 persone, sette donne e otto bambini. Il Tribunale tuona contro Atene ma nuovamente l’appello viene fatto cadere nel vuoto. Qualche centinaia di chilometri più a Nord, nel frattempo, migliaia di profughi ucraini attraversavano i confini dei Paesi dell’Est Europa, dalla Polonia all’Ungheria, passando per Romania, Slovacchia e Moldavia per cercare protezione in Europa. Frontiere aperte, politiche di accoglienza, il diritto che apparentemente torna a essere utilizzato per proteggere la persona umana.

Sì. È solo apparenza. Dall’aggressione russa del 24 febbraio sono in totale 7,2 milioni le persone che hanno lasciato il Paese per dirigersi verso l’Europa ed è difficile, di fronte a questi numeri, parlare di mancata accoglienza. Ma vi basterebbe scambiare due chiacchiere con Amir (nome di fantasia), giovane di origine tunisina accolto nelle strutture del Gruppo Abele, che oggi si trova nel limbo: anche lui scappato dall’Ucraina, anche lui vittima delle atrocità della stessa guerra, non può restare in Italia perché non è possibile per lui accedere a un documento. L’Europa, e l’Italia, hanno deciso che gli stranieri non possono accedere alla protezione temporanea, lo speciale permesso di soggiorno garantito agli ucraini, se non con stringenti condizioni. Si stima che ci siano circa 110mila persone nella stessa situazione di Amir: un numero piccolissimo, di fronte a 7,2 milioni di sfollati, che ricordano che la strategia delle istituzioni europee nella presunta gestione del fenomeno migratorio non è cambiata.

Ed è una strategia, come proviamo a ricostruire con Duccio Facchini nel libro Respinti. Le sporche frontiere d’Europa dal Mediterraneo alla rotta balcanica (lo presenteremo il 29 giugno a Binaria a Torino) che confina e respinge in modo sistematico le persone che cercano rifugio da povertà e guerre in Europa: dal Mediterraneo centrale, al confine tra Polonia e Bielorussia, fino all’imbuto della rotta balcanica, e poi ancora, lungo i confini interni come la frontiera italo-francese. Morti, ferite profonde, fisiche e psicologiche, diritti negati declassificati a effetto collaterale di politiche migratorie inevitabili legate a presunte invasioni da fermare sostenute da una narrazione che quotidianamente rinforza l’idea che la chiusura dei confini sia l’unica risposta possibile. I profughi ucraini ci ricordano che non è così. Accogliere è possibile, così come facilitare la vita di chi arriva nel nostro Paese. Un esempio? Oggi i dottori di origine ucraina potranno lavorare nei nostri ospedali. Ma perché non hanno mai potuto farlo quelli originari della Siria, dell'Afghanistan, dell'Albania o del Sud Sudan? Un rischio di etnicizzazione, con differenze insopportabili, sottolinea Cristina Molfetta che ha curato la postfazione del libro.

Ma soprattutto, l’invasione non esiste. In prevalenza la migrazione è un fenomeno regionale: in media una persona su due che si sposta da un Paese all’altro lo fa restando nella propria “area” di origine e d’influenza. Accade in particolare per il 70% dei migranti europei, che si spostano all’interno del continente, ma anche per il 63% dei cittadini originari dell’Africa Sub-sahariana. Se confrontiamo l’andamento dei migranti forzati nel mondo negli ultimi anni con gli ingressi irregolari – come potrebbero essere regolari se non esistono vie legali di ingresso? - delle persone attraverso i confini esterni dell’Unione europea osserviamo due linee che si incrociano. La prima cresce, smisuratamente, a fotografare catastrofi umanitarie vicine e lontane che si aggravano, mentre l’altra, dopo un sussulto nel 2015 (con 1,8 milioni di ingressi, in larghissima parte dalla rotta orientale), si inabissa e appiattisce, arrivando nel 2020 a superare di poco le 130mila persone e nel 2021 quota 195mila.

Mentre il mondo è in fiamme la strategia nega così tutela a migliaia di persone - i respinti - ma prima di tutto accetta di scendere a compromessi sul diritto d'asilo, sulla tutela della vita umana e dell’inviolabilità dei corpi selezionando di volta in volta chi vogliamo accogliere e chi no. E questo riguarda anche noi. In altri termini: mettendo in discussione le regole del gioco, quelle su cui abbiamo deciso di far appoggiare la nostra vita comune, si trasformano i diritti in concessione, come sottolinea Gianfranco Schiavone nella prefazione del libro. Un rischio non solo per chi cerca protezione ma prima di tutto per noi.

(luca rondi)

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