NotizieUn mondo e un tempo senza Giornate delle donne

In vista dell'8 marzo, Giornata della donna, l'équipe della Drop House del Gruppo Abele riflette sulle storie delle quasi 400 donne passate per il servizio solo lo scorso anno. Donne portatrici di fatiche e di speranze, sintesi di un mondo grandissimo che merita di essere raccontato e, intanto, cambiato

  • Condividi

Per questa Giornata della donna, vogliamo giocare con l’immaginazione.
Chiamiamola fantasia.
Vogliamo per esempio immaginare un mondo e un tempo in cui non ci siano giornate delle donne.
O meglio, in cui non ci sia la necessità di esercitare memoria del passato in funzione di un presente che non solo non è meglio di quel passato, ma che vive inquietanti degenerazioni che, di tanto in tanto, lo rendono peggiore.
Femminicidi.
Disparità di retribuzioni e trattamento sul lavoro.
Abusi, sessuali e non.
Stalking.
Gli ultimi dati ufficiali, nella fotografia dall'Italia scattata a novembre 2017 dall'Istat e riferita al 2016, parlano di 149 donne uccise, quasi 7 milioni di donne che, almeno una volta nella vita, hanno subito violenza, 3 milioni e mezzo di vittime di stalking e un milione e mezzo costrette a molestie o ricatti sul posto di lavoro.

I numeri rischiano sempre di rendere i discorsi matematici e impersonali. Invece ciascuna di quelle cifre rappresenta una somma di vite umiliate, un giorno dietro l'altro. E raccontano di contesti, più o meno quotidiani, più o meno familiari, in cui a regnare sono il disagio (attenzione a non fare di questa parola, disagio, una di quelle che generano simpatia da social network) e la paura. Contesti di costrizione fisica e morale. Contesti di malessere personale. E, di seguito, sociale.

Leggendole, queste cifre che sono storie, viene da pensare a Joseph Conrad, a quella volta che, per scherzo e anche non per scherzo, scrisse di quale "compito terribilmente difficile" è essere donna, "visto che consiste principalmente nell'avere a che fare con uomini".
Nessuna generalizzazione.
Non esiste una colpa indistinta.

Pure, sopravvive in Italia l'immaginario di una donna-femmina, individuo in nota minore destinato ai sentimenti, alle emozioni, alla cura estetica del sé che delega all'uomo le cose del mondo, la risoluzione dei problemi. Per debolezza, poca preparazione, vulnerabilità caratteriali. Una visione, a essere gentili, medievale, nel cui nome l'amore si degrada a controllo, il rispetto a comprensione e che tutto rende scusabile: i gesti di soverchieria, le violenze, fino all'omicidio. Non dimentichiamo d'altronde che c'è voluta una legge del 1981 (!) perché venisse abolito il delitto d'onore. Fino a nemmeno quarant'anni fa, in Italia, nella repubblicana Italia, era considerato non solo naturale, ma addirittura giuridicamente lecito, difendere l'"onor suo o della famiglia" attraverso il delitto.

Per questa ormai prossima Giornata della donna, visti dati cause e pretesti, sarebbe bello sviluppare utopie, come foto di un vecchio rullino che credevamo andato perso e invece sta lì. Sarebbe bello tornare a elaborare un progetto politico di umanità integrale. Un'umanità nuova da far passare attraverso la strettissima cruna della conoscenza. La cultura - che, come dice spesso don Luigi Ciotti, dà la sveglia alle coscienze - è la chiave di volta del cambiamento. L'associazionismo, il Terzo settore e la politica devono tornare a generare comunità e assumersi l'onere di ri-pensare o pensare ex novo un percorso di riconversione del ruolo dell'uomo, smontando l'assioma animalesco di maschio alfa.
Per questa Giornata della donna, noi vogliamo partire dalle storie. Pensiamo alle quasi 400 donne passate per il servizio Drop House solo lo scorso anno, portatrici di fatiche e di speranze, sintesi di un mondo grandissimo che merita di essere raccontato e, intanto, cambiato. Non su di loro. Non per loro. Ma con loro.
Sono state madri, guerrigliere, donne colte e operaie. Hanno tutte una vita a cui hanno dovuto rinunciare, nel nome di un viaggio che le ha condotte a dormire all'addiaccio o a vagare tra i servizi sociali alla ricerca di una casa o di una risposta.

Ecco perché, forse, il più bell'augurio per quest'anno, è sperare di non operare più il prossimo anno. Non per il fallimento di una missione, ma per il suo esatto opposto, perché di noi, della Drop House quale oggi è, non ci sia più bisogno, perché il mondo, o almeno una parte di esso, un quartiere, nel frattempo sia diventato terreno di crescita, opportunità di lavoro, di riscatto sociale.

Per le donne.
Per le proprie famiglie.
Per i loro figli.

(l'équipe della Drop House del Gruppo Abele)

Cosa facciamoDa sempre accanto agli ultimi