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NotizieLa Perugia-Assisi: una marcia per confliggere

Alcune parole si logorano con l'uso, rischiano di scolorire come le bandiere esposte per lungo tempo al sole. "Pace" è una di quelle parole, una di quelle bandiere. È difficile scriverne in termini non retorici. A differenza di sessant'anni fa – quando, su iniziativa di Aldo Capitini, si tenne la prima Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza fra i popoli – è rarissimo oggi trovare, perlomeno nel mondo Occidentale, qualcuno che non si dichiari a favore della pace. Il tema è talmente trasversale, che tutte le guerre combattute negli ultimi decenni sono state dichiarate in nome della pace. O piuttosto della pacificazione

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Alcune parole si logorano con l’uso, rischiano di scolorire come le bandiere esposte per lungo tempo al sole. Pace è una di quelle parole, una di quelle bandiere. È difficile scriverne in termini non retorici. A differenza di sessant’anni fa – quando, su iniziativa di Aldo Capitini, si tenne la prima Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza fra i popoli – è rarissimo oggi trovare, perlomeno nel mondo Occidentale, qualcuno che non si dichiari a favore della pace. Il tema è talmente trasversale, che tutte le guerre combattute negli ultimi decenni sono state dichiarate in nome della pace. O piuttosto della pacificazione.

Il paradosso della violenza descritta come strumento per garantire la tranquillità e l’armonia fra i popoli è del resto antico. Il famoso “deserto che chiamano pace”, con cui Tacito descrive le conquiste militari dei Romani, rimane un’espressione emblematica, che denuncia questa ipocrisia di fondo. Eppure basta un semplice confronto semantico per cogliere la distanza abissale e sostanziale che esiste fra il conflitto e la concordia, la guerra e la pace.

La guerra scoppia, la pace matura. La guerra si dichiara, la pace si tratta. La prima è un atto di sopraffazione, avidità, disprezzo dell’altro. Un atto della volontà. La seconda nasce dal dialogo, dalla condivisione, dall’andare incontro all’altro. È una condizione della coscienza.

Tutto questo è in qualche modo simboleggiato dalla Marcia che anche quest’anno si snoda lungo le strade dell'Umbria e alla quale, come da lungo tempo, il Gruppo Abele parteciperà. Il camminare come gesto anti-retorico, contro il pericolo di trasformare la riflessione intorno alla pace e alla non-violenza in un discorso generico, senza impatto concreto né culturale. Il camminare per mettersi in gioco personalmente, dalla testa – sede dell’ideale – ai piedi – motore dell’azione. Il camminare non per arrivare da qualche parte, ma per educarsi a fare strada insieme.

Diceva Gandhi che “non c’è una strada che porta alla pace, la pace è la strada”. E il tema scelto per l’edizione di quest’anno, la cura, rafforza l’idea che la pace non sia un obbiettivo ma un percorso, un processo, una progressione. Qualcosa che non si consegue ma si persegue attraverso un impegno da rinnovare passo dopo passo. La cura di noi stessi, chiamati a crescere come persone attraverso lo studio e la ricerca interiore. La cura degli altri, a partire dai più fragili e soli. La cura delle relazioni – che siano incontro autentico e non rapporto di forza. La cura della comunità – non semplice somma di persone ma “convivialità delle differenze”, come diceva don Tonino Bello. La cura dei saperi, contro la superficialità, la sciatteria e il dogmatismo imperanti. La cura dell’ambiente troppo a lungo depauperato senza criterio.

Alla Perugia-Assisi non ci si va per contare singolarmente, ma per contarsi. Per ritrovarsi immersi in una moltitudine colorata, dai riferimenti più vari – l’associazionismo cattolico e quello di stampo progressista laico, lo scoutismo, il sindacato, l’ecologismo e tanto altro. E ricordarsi che – ribaltando un’espressione detestabile – esistono anche le minoranze silenziose e laboriose, che ogni giorno senza clamore si danno da fare per una società più giusta e coesa, si prendono cura, appunto, del legame sociale, della salute pubblica, dell’educazione dei giovani, della tutela della natura.

Si marcia per la pace e si marcia, senza contraddizione, per confliggere. Come fanno tutte le minoranze attive. La pace non è infatti assenza di conflitto, ma conflitto non-violento, finalizzato al bene. Non a caso, l’edizione di quest’anno chiama la pace per nome e sceglie i nomi di due persone che si sono messe apertamente in conflitto col sistema dentro al quale si sono trovate a operare. Il primo è Gino Strada, recentemente scomparso. Un medico che, mentre curava le ferite di guerra delle persone, denunciava la guerra stessa come ferita dell’umanità. Il secondo è Mimmo Lucano, recentemente colpito da una condanna a detta di molti inspiegabile e comunque spropositata. Un sindaco che ha provato a costruire la pace attraverso l’accoglienza, lottando conto la diffidenza, la burocrazia e la dilagante vulgata populista sui temi dell’immigrazione.

C’è un altro nome che accompagna da sempre la Marcia, e non potrebbe essere altrimenti visto che il cammino si snoda proprio lungo le sue strade, lungamente battute nel corso di una vita da visionario costruttore di pace. Il viandante Francesco d’Assisi, prima ancora che il Santo, ci ha insegnato la radicalità e il coraggio necessari a entrare in dialogo con gli altri. Ottocento anni fa, in piena epoca di Crociate, si recò a piedi fino alla Terra Santa, a incontrare in spirito di amicizia il Sultano d’Egitto Al-Kamil. Anche noi oggi siamo amici dell’Egitto… Quel tanto che basta per vendere al suo governo oppressivo e omicida miliardi di euro in armamenti.

La strada da fare è sempre tanta. E i 24 km fra Perugia e Assisi sono una tappa minuscola ma di grande valore simbolico.

(cecilia moltoni)

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