NotizieL'anticorruzione pop che genera consapevolezze

Partiamo da una premessa: stiamo perdendo. Stavamo perdendo due anni fa e lo stiamo facendo ancora oggi, forse anche più di ieri. Perdiamo quando facciamo fatica a generare reti con altri, in un clima di competizione che però lascia ampissimi ambiti scoperti. Perdiamo quando abbiamo paura di smarrire un'identità che muore solo se non si rinnova nel confronto col reale che cambia. Perdiamo quando pensiamo solamente alla lotta alla corruzione come contrasto, o quando si ritiene che si risolva solamente a colpi di atti amministrativi, piani triennali, tabelle excel. Perdiamo quando per sentirci efficaci ci basta il riconoscimento di un ristretto ambito sociale, più o meno esclusivo, più o meno riconoscibile dall'esterno. Perdiamo quando rinunciamo a chiedere di che cosa hai bisogno preparandoci a prendere botte e non lodi, proponendo invece lezioni anticorruzione. Perdiamo quando la corruzione è nel nostro Dna di italiani, o è l'olio del sistema, o corruttibili lo siamo tutti, e magari non lo diciamo noi ma restiamo silenti di fronte a chiacchiere da bar. Perdiamo quando pensiamo che sia solo una questione di deburocratizzazione, e non di fattore umano

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Partiamo da una premessa: stiamo perdendo. Stavamo perdendo due anni fa e lo stiamo facendo ancora oggi, forse anche più di ieri. Perdiamo quando facciamo fatica a generare reti con altri, in un clima di competizione che però lascia ampissimi ambiti scoperti. Perdiamo quando abbiamo paura di smarrire un’identità che muore solo se non si rinnova nel confronto col reale che cambia. Perdiamo quando pensiamo solamente alla lotta alla corruzione come contrasto, o quando si ritiene che si risolva solamente a colpi di atti amministrativi, piani triennali, tabelle excel. Perdiamo quando per sentirci efficaci ci basta il riconoscimento di un ristretto ambito sociale, più o meno esclusivo, più o meno riconoscibile dall’esterno. Perdiamo quando rinunciamo a chiedere di che cosa hai bisogno preparandoci a prendere botte e non lodi, proponendo invece lezioni anticorruzione. Perdiamo quando la corruzione è nel nostro Dna di italiani, o è l’olio del sistema, o corruttibili lo siamo tutti, e magari non lo diciamo noi ma restiamo silenti di fronte a chiacchiere da bar. Perdiamo quando pensiamo che sia solo una questione di deburocratizzazione, e non di fattore umano.

Perdiamo quando pensiamo che, siccome ci siamo noi, allora le regole possono cambiare, perché siamo onesti a priori. Perdiamo quando pensiamo che impegnarsi contro la corruzione sia qualcosa che oltre c’è solo una croce dietro la schiena. Perdiamo quando associamo l’impegno all’essere noiosi. Perdiamo quando assistiamo impotenti allo smantellamento di quelle norme che apparentemente non c’entrano con la corruzione, ma che aprono ad enormi possibilità opache. Perdiamo quando io nel mio piccolo non mi corrompo. Perdiamo quando nascondiamo sotto il tappeto le giuste domande, del tipo quali sono nella mia vita i rischi concreti di opacità? Quando posso trovarmi ad abusare anche di ruoli che ricopro in un contesto lavorativo?. Perdiamo quando non ci facciamo queste domande con gli altri. Perdiamo quando lasciamo l’anticorruzione solo agli esperti, e ben vengano gli esperti, anzi necessitiamo di professionisti dell’anticorruzione, senza che ciò ci autorizzi a non fare la propria parte. Perdiamo quando santifichiamo i magistrati, magari venendo delusi quando scopriamo che sono uomini come noi, piuttosto che costruire un contesto culturale sconveniente al malaffare che riduca al fisiologico la necessità della loro azione. Perdiamo quando abbiamo paura di risultare antipatici, ossia anti-pathos e cioè contro il sentire dominante; ma non possiamo accettare quando il sentire comune è di abbassare la testa, o di non dare troppo fastidio, o del ci sono interessi che non conosci e ti tutelano.

Stiamo perdendo, ma la domanda vera è: Che cosa è cambiato, in meglio, negli ultimi due anni, non certo per Anticorruzione pop, ma in coerenza con la speranza contenuta in quel libro non libro (pubblicato per le Edizioni Gruppo Abele)?

È cambiato che due anni fa non si parlava di comunità monitoranti, e a stento qualcuno si preoccupava di parlare di monitoraggio civico. Oggi esistono territori e iniziative, in tutta Italia, che provano a organizzarsi secondo questi modelli. Magari ancora pochi, sgangherati, incerti, ma terribilmente preziosi. Oggi la stessa espressione, “comunità monitoranti”, compare in iniziative cento anni luce lontane da chi quel libro l’ha pensato. Oggi capita di venire invitati a incontri pubblici in cui 600 ragazzi raccontano di come hanno trasformato intere classi in un’esperienza di monitoraggio dei fondi della scuola, senza che mai abbiano preso contatti previ. Oggi capita che la frase allora chiediamo i dati, se non li abbiamo, sia considerata in gruppi di lavoro come la cosa più ovvia del mondo, spesso ignorando che fino a 7 anni fa il diritto di sapere in questo Stato non era di casa, e l’unico modo per avere dati dalla pubblica amministrazione era avere un interesse diretto concreto attuale e pertinente. Oggi capita che quella che doveva essere una sperimentazione nazionale senza troppa prospettiva, la Scuola Common, sia arrivata alla quarta edizione e sia stata richiesta e organizzata in Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia, Toscana, Veneto, Valle d’Aosta, e moltiplicata in decine di incontri anche auto-organizzati e tanto altro ancora in cantiere.

Oggi capita che spuntino cittadini monitoranti dappertutto, tanto al sud quanto al nord, tanto sui temi della salute quanto su quelli dei beni confiscati, tanto sul monitoraggio degli appalti quanto dell’azione delle partecipate pubbliche. Capita che nascano portali della trasparenza spinti dal basso, come Confiscati bene 2.0, unendo la straordinaria capacità reticolare di Libera, la sua storia e il suo impegno sui beni confiscati, alla competenza digitale di associazioni del mondo dell’open data, come Ondata. Oggi capita che si riesca anche a superare l’idea che impegnarsi significhi mettersi una maschera cupa, ma divertirsi insieme, facendo video e infografiche per arrivare a molti, senza aspettarsi che siano gli altri ad ascoltare solo perché si ha qualcosa di importante da dire.

Tutto questo capita, non certo per Anticorruzione pop, e ancor meno per chi l’ha scritto. Capita perché c’è del meraviglioso in questo Paese, che spesso ha bisogno solamente di qualcuno che creda che si possa fare la differenza. Perché, se la corruzione è furto di risorse collettive a vantaggio di pochi, l’anticorruzione non può che essere moltiplicazione di bene comune, a vantaggio di tutti. Se la corruzione è rottura del patto sociale, l’anticorruzione non può essere che lavorare per ricostruirlo, generando percorsi belli, luminosi, persino divertenti. Perché se l’anticorruzione è “abuso di potere delegato”, anticorruzione non può non essere che imparare a fare buon uso di quel potere che è in mano a tutti noi, non più non meno.

C’è ancora una lunga strada da fare: la certezza è che non basterà una generazione per riuscirci. La certezza è che la prossima possa avere degli appigli in più, stabili, forti, su cui ergersi per superare una montagna chiamata corruzione, costruita in anni di incuria, disattenzione e cura degli interessi privatissimi di qualcuno.

(leonardo ferrante)

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