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NotizieLavorare con i cattivi

In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, l'attenzione è ovviamente puntata sulle vittime dei maltrattamenti, in particolare quelli subiti a opera del partner. Ma fondamentale, per chi vuole contrastare il fenomeno, è anche occuparsi degli uomini autori di quelle violenze. Ecco il senso del seminario formativo "Lavorare con i cattivi", tappa del percorso avviato dal comune di Genova in collaborazione con il Gruppo Abele nel 2018

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In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, l’attenzione è ovviamente puntata sulle vittime dei maltrattamenti, in particolare quelli subiti a opera del partner. Ma fondamentale, per chi vuole contrastare il fenomeno, è anche occuparsi di coloro che in gergo sono detti maltrattanti, ossia gli uomini autori di quelle violenze.
Qui di seguito alcune voci raccolte durante il seminario formativo Lavorare con i cattivi, tappa del percorso di alto valore formativo avviato dal comune di Genova in collaborazione con il Gruppo Abele nel 2018, emblema di un lavoro di rete virtuoso tra pubblico e privato e di reale offerta integrata di aiuti.

Annalisa Rua, responsabile della comunità Mamma-Bambino del Gruppo Abele, ha sottolineato che “il 30% degli uomini violenti ha un passato di vittima di violenza. I bambini subiscono maltrattamenti non solo direttamente, ma anche assistendo a episodi di violenza domestica. Quando le mamme si trovano di fronte i propri figli che, disegnando o giocando, ripropongono scene di violenza, è allora che trovano il coraggio di denunciare”.
I maltrattamenti si manifestano attraverso gesti, parole, atteggiamenti. Una vera e propria escalation simmetrica, per utilizzare le parole di Mauro Melluso, coordinatore dei servizi del Gruppo Abele che si occupano di famiglie vulnerabili. “Una coppia litiga, sempre più spesso. L’uomo insulta la donna, la denigra. Poi arriva il primo schiaffo. Il secondo. Gesti seguiti da altri sempre più violenti, dai quali è difficile tornare indietro”.
A volte, però, questo accade. Così, l’uomo violento inizia un percorso che lo porta ad abbandonare l’auto assoluzione (“ho sbagliato ma per colpa sua”), arrivando a interrogarsi sui propri comportamenti, prendendone coscienza e consapevolezza. Ecco perché, proprio a partire dall’esperienza della comunità Mamma-Bambino e dai racconti sofferti di molte delle sue ospiti, nel 2015 il Gruppo Abele ha avviato in parallelo il progetto residenziale Opportunity, rivolto a uomini violenti intenzionati a rielaborare e superare le proprie pulsioni aggressive.
Nel corso del seminario, moderato da Monica Dalle Grave dell’Università della Strada, è emerso un ulteriore aspetto significativo. La figura del maltrattante è, di norma, associata a quella maschile. Tuttavia, non è sempre così. Mauro Melluso ha infatti ammesso che, pur non avendo in carico donne violente, “conosciamo il fenomeno attraverso i racconti delle loro vittime, gli uomini”. Anche se ovviamente si parla di numeri molto diversi.
Da ottobre 2019, l’impegno in questo ambito si arricchisce di un ulteriore tassello, grazie a un protocollo sottoscritto dal Gruppo Abele e altre associazioni con la Questura di Torino, per offrire un percorso gratuito anche se non obbligatorio di riabilitazione e riscoperta di sé alle persone destinatarie di un provvedimento di ammonimento. Le richieste arrivate sono già una sessantina.
Vittime e autori delle violenze. Lo stesso desiderio di cambiamento che può portare le prime a denunciare e spezzare il legame con il proprio aguzzino, può convincere i colpevoli ad abbandonare i meccanismi violenti. A vedere “il bicchiere mezzo vuoto”, ma con “la volontà di riempirlo”, per riprendere le parole di un uomo il cui percorso di vita si è intrecciato con i progetti del Gruppo Abele.

(marika demaria, giornalista, Università della Strada)

In questo articolo Cultura e formazione, Famiglie

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