NotizieMarcire in carcere

Nel 2018, dopo 5 anni, i detenuti sono tornati ad essere oltre 60mila, con un aumento di circa 2.500 unità rispetto alla fine del 2017. Un esubero di circa 10mila persone. Aumentano anche i suicidi. 63 nel 2018, 20 volte più che fuori dal carcere

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“Marcire in carcere” è un’espressione che ha recentemente toccato parte dell’opinione pubblica. Quell’opinione pubblica che ritiene ancora il carcere un’istituzione rieducativa, e non punitiva. Come invece intende il ministro dell’Interno che finisce per trovagliene una terza: quella pubblicitaria, a vantaggio della sua propaganda elettorale.
Eppure in carcere si marcisce. Senza annunci ministeriali e senza individualismi. In grandi numeri. L’associazione Antigone ha pubblicato recentemente, come d’abitudine, i numeri e l’analisi dello stato delle carceri italiane per il 2018.

Al 30 novembre 2018, dopo 5 anni, i detenuti sono tornati ad essere oltre 60.000, con un aumento di circa 2.500 unità rispetto alla fine del 2017. Per una capienza complessiva delle strutture del sistema penitenziario di circa 50.500 posti. Un esubero di circa 10.000 persone oltre la capienza regolamentare, per un tasso di affollamento del 118.6%. Il sovraffollamento è tuttavia disomogeneo e la regione più affollata è la Puglia, con un tasso del 161%, seguita dalla Lombardia con il 137%.
Risulta inoltre che il 34% dei detenuti è in carcere per aver violato le leggi in materia di droghe. Percentuale questa tanto elevata da dover mettere in evidenza la necessità di una riforma delle norme che regolano e gestiscono l’ambito giuridico.
Nel 2018 sono inoltre aumentati i suicidi in carcere. Sono stati 63. Era dal 2011 che non se ne registravano così tanti. Ciò significa che ogni 900 detenuti uno ha deciso di togliersi la vita. Una percentuale venti volte più alta che nella vita libera.
Per non offrire altri facili appigli propagandistici, va detto che tutti coloro che vivono in carcere - da condannati, in attesa di giudizio o da addetti alle strutture - non se la passano bene. Tant’è che, in un questionario sullo stress correlato al lavoro, compilato nei primi mesi del 2018 da 600 agenti che prestano servizio all’interno delle carceri italiane, risulta che il 35.45% degli agenti della Polizia penitenziaria si troverebbe in una condizione di elevato rischio “suicidio” per la presenza di un forte stato depressivo, ansia, alterazione della capacità sociale e forti sintomi somatici.
Tra il 2013 e il 2017 sono stati 35 i suicidi tra gli agenti di polizia penitenziaria (Fonte: Funzione pubblica Cgil polizia penitenziaria).
Le ragioni di questo disagio generale sono le condizioni di vita mortificanti. Spazi insufficienti e fatiscenti, servizi mancanti, poche proposte lavorative e formative, carenza di personale in rapporto al numero dei detenuti e formazione insufficiente a gestire casi di crisi anche violente. Questi i motivi per cui in carcere si marcisce. Tutti.

(toni castellano)

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