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NotizieSe la prevenzione della corruzione è messa in crisi (mentre comincia a dare risultati)

Rispetto all'anno scorso sono quasi raddoppiate le segnalazioni di whistleblowing, si moltiplicano in tutta Italia le esperienze di monitoraggio civico, eppure si è dimesso il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione: "È cambiato l'approccio culturale nei confronti dell'Anac"

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Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, si è dimesso e nelle poche righe con cui motiva la decisione svetta, enigmatica per i non addetti ai lavori, una frase in particolare: “È cambiato l’approccio culturale nei confronti dell’Anac”.

Per capire occorre tornare indietro di sette anni. Sebbene la corruzione in Italia sia diffusamente additata da tutte le forze politiche come priorità da affrontare, solamente dal 2012 è possibile parlare di prevenzione del malaffare.
Fino al 5 novembre 2012 l’unico strumento per combattere la corruzione erano le forme di contrasto previste dal diritto penale. Evidentemente utilizzabili solo da un magistrato, un avvocato o un militare delle forze dell’ordine. Prima di allora, ciascuno di noi poteva tutt’al più fare attenzione ai propri comportamenti (cosa quanto mai valida anche oggi) e parteggiare per l’azione della magistratura.

A 25 anni di distanza da Tangentopoli, occorre dirselo, il sostegno alle istituzioni di contrasto al malaffare ha generato non poche storture nella stessa cultura nazionalpopolare. La logica che si è affermata è sintetizzabile in una frase: se i demòni della politica ci hanno messo in questo pantano della corruzione, ora gli angeli della giustizia ce ne tireranno fuori.
Questa logica, che detta oggi fa amaramente sorridere, non funziona perché ignora una questione fastidiosa: la nostra complicità. Eravamo presenti durante i fatti che hanno portato a Tangentopoli e siamo presenti ancora oggi mentre la corruzione si è fatta strutturale, diffusa e pervasiva.

Abbiamo dovuto aspettare il 6 novembre 2012 per avere una prima norma, la Legge 190, che, pone il problema della prevenzione della corruzione. Vale a dire: che cosa ciascuno di noi può fare per impedire che si arrivi a un’azione penale.
Anche in questo caso occorre essere chiari: quella legge non l’ha voluta la politica nazionale. La società civile, Libera e Avviso Pubblico in testa, con l’iniziativa Corrotti ha raccolto oltre un milione di firme per chiedere l’adeguamento italiano alle normative internazionali. Adeguamento poi concretizzato da un governo tecnico, quello a guida Monti, per evitare all’Italia l’ennesima sanzione. La riforma, pur con molti limiti e ampi margini di miglioramento, ha provato a fissare nel nostro ordinamento alcuni principi di portata straordinaria. Uno su tutti l’accessibilità totale alle informazioni, che ha il potere di trasformare la Pubblica Amministrazione italiana, abituata a non rendere conto di nulla ai propri cittadini, in una casa di vetro.
All’interno di questo modello, l’Anac è l’organo in grado di orientare, accompagnare e monitorare la Pubblica Amministrazione al rispetto della trasparenza amministrativa e alle strategie di prevenzione istituzionale. Contemporaneamente, a ciascuno di noi cittadini è chiesto un impegno di vigilanza civica. Impegno che Gruppo Abele e Libera hanno tradotto attraverso il progetto Common.

Ora: quando Raffaele Cantone, dimettendosi, spiega la sua scelta con il cambiamento dell’“approccio culturale verso l’Anac”, vuole ragionevolmente sottendere che l’attenzione nei confronti della prevenzione del malaffare sta venendo meno, a vantaggio del solo elemento repressivo. Non è un caso che anche l’ultima normativa, detta Spazzacorrotti, abbia agito solamente sul lato della forza e del contrasto. Contemporaneamente, l'Anac è stata spogliata di una serie di poteri di vigilanza a seguito di riforme potenzialmente criminogene, come lo Sblocca cantieri.
Tutto ciò paradossalmente quando cominciano a vedersi i primi risultati del cambiamento culturale iniziato nel 2012. L’ultimo rapporto Anac evidenzia infatti come le segnalazioni di casi di opacità a cui si assiste sul luogo di lavoro (whistleblowing), che appartengono proprio alla famiglia delle strategie di prevenzione del malaffare, siano quasi duplicate rispetto all’anno precedente. I segnalanti potenziali possono nell’ultimo anno anche contare su un servizio, Linea libera, che li accompagna nella fase di dilemma etico precedente ad una scelta di segnalazione.
In questi sette anni si sono poi moltiplicate in Italia esperienze che vigilano sul proprio territorio, sul bene comune, come fa ad esempio il portale Confiscati bene 2.0sui beni confiscati alle mafie. Tutti esempi, tra molti, che dal basso sono potuti nascere proprio grazie a quella Legge 190 del 2012 e ai diritti in essa contenuti.

Parafrasando il vicepremier e ministro del Lavoro, Luigi di Maio, per “fregare” davvero i corrotti e i corruttori di questo Paese non basta la sola repressione. Non ha funzionato nel 1992, non funzionerà oggi. Occorre uscire dalla stessa logica del fregare qualcuno per combattere il malaffare, preferendo la diffusione di una cultura della promozione dell’integrità, che lavori per la rimozione di quelle costanti culturali, individuali e organizzative che favoriscono la pratica corruttiva.
Insomma è necessario fare di tutto, ciascuno secondo il proprio potere delegato, per incoraggiare, far crescere, dare fiato a quello spirito di prevenzione che tra mille fatiche prova a emergere e che, fuori dalla nostra penisola, ha già generato cambiamenti decisivi.

(leonardo ferrante)

In questo articolo Mafie e corruzione

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