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NotizieUna notte al Rifugio con chi fugge dai talebani

La storia di Nargis, fuggita con la famiglia da Herat e respinta dai francesi a Claviere, raccontata da Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa, associazione che gestisce l'assistenza sanitaria al Rifugio di Oulx. "Ma solo i corridoi umanitari - dice - possono essere una soluzione"

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Lei si chiama quasi come me, Nargis. É stata respinta l'altra notte dai gendarmi francesi a Claviere con tutta la sua famiglia e la Croce Rossa li ha portati al Rifugio di Oulx. Parla un ottimo inglese e anche qualche parola di italiano perché arriva dalla zona di Herat dove c’erano i nostri soldati. Si chiama così perché a sua madre piacevano i vecchi film indiani con un attrice che aveva questo nome. La cerchiamo insieme su internet, vediamo la sua foto su Wikipedia. Era molto bella, ma lo è anche la mia interlocutrice. Mi racconta della sua città, delle torri color sabbia della cittadella antica, dei ricordi di bambina.

Nargis ha 32 anni, le immagini del primo regime talebano sono ancora presenti nei suoi ricordi, quando da bambina di dieci anni era costretta a casa, uscire solo se tutta coperta e mai da sola, niente scuola. Poi il cambiamento, l’arrivo dei soldati occidentali, gli italiani così diversi, ma anche così uguali alla sua gente. La scuola con studi fino all’università per imparare a usare il pc e fare conti e bilanci. Lei lavorava come una sorta di ragioniera/segretaria, molto orgogliosa che i conti del suo ufficio fossero sempre in ordine. Orgogliosa dei suoi viaggi fino in capitale a portare documenti e discutere acquisti. Non una vita facile, comunque, nei trasferimenti verso la capitale tutto era rischioso, meglio coprirsi e più di una volta ha viaggiato con il burqa perché lungo la strada spesso c’erano posti di blocco di integralisti. Ma si sentiva viva, libera.

Poi tutto cambia, suo padre (che morirà durante il viaggio) un giorno riunisce la famiglia. É il dicembre 2019, ha sentito che Trump sta negoziando il ritiro degli americani, dice a tutta la famiglia che anche gli italiani andranno via e allora tutto tornerà come prima, peggio di prima. Le sue figlie sono giovani, nubili e lavorano. Lui fa da interprete per una ong. Mettono in vendita la casa, parlano con lo zio che da 30 anni sta in Germania, ha un ristorante e che assicura che sì, li aiuterà a trovare casa, lavoro. Tutta la famiglia riesce a imbarcarsi su un volo per Teheran, sono fortunati: altri passano per le montagne al confine con l’Iran, sui passi raccontano di morti ogni giorno. Poi da Teheran comincia la marcia, con fagotti e valige, in autobus e a piedi verso la Turchia, ci arrivano a marzo, in piena pandemia.

L’atmosfera nel campo è tesa, tutti hanno paura di infettarsi, ma la loro fortuna tiene. Restano nel campo di Suruc per due mesi, poi li spostano in un altro TAC (centro di accoglienza temporanea) a
Gaziantep. I campi sono strapieni di siriani, lì da anni, e curdi, isolati e trattati da appestati. Alla fine, ad agosto, riescono a entrare in Grecia: il padre muore per un infarto e inizia una lunga marcia attraverso Macedonia, Serbia, Bosnia e Croazia. Comincia a raccontarmi delle botte al confine croato, quando i suoi la chiamano per mangiare… "Dopo ti racconto ancora...". Ma arriva tanta gente e quando finiamo di visitarli tutti, lei non c’è più, addormentata con le sue sorelle in un modulo in cortile.

Quella di Nargis è solo una delle mille storie, tutte diverse e tutte uguali, storie che raccontano di una fuga durante una vita normale, simile alla mia. Penso a cosa farei al loro posto se un giorno mi accorgessi che la mia vita sta per cambiare, che non posso più vivere dove sono nato. Ripenso alle sue parole che descrivono la paura, il dolore e la sofferenza durante la marcia, la rinuncia a tutto quello che aveva.

Da marzo 2021 al Rifugio Massi di Oulx sono passate oltre 5mila persone, il 40 per cento sono afghani, fuggiti quando hanno cominciato a capire che il loro mondo stava per cambiare e che per questo hanno deciso di affrontare migliaia di chilometri di cammino, violenze, estorsioni, freddo e fame. Hanno deciso che la libertà era più importante di tutti i loro beni. Loro sono quelli che abbiamo incontrato finora, se vogliamo i più fortunati di questa tragedia. Fortunati perché hanno potuto programmare la fuga, prepararsi, allenarsi. E nonostante tutto il male che hanno affrontato, questo immagino sia poco rispetto a quello che affrontano e affronteranno quelli che invece scappano ora, mentre le cose succedono. Loro arriveranno ancora più stanchi, ancora più disperati nel cuore dell’inverno pronti a rischiare la vita sui sentieri di alta montagna come avevano fatto i nostri nonni. Con un solo motivo nel cuore: libertà.

Non ci sono soluzioni facili per questa vicenda, quello che facciamo sembra un cerotto messo su una ferita d’arma da fuoco. Persino il Rifugio è solo una carezza per chi ha così sofferto. Solo la creazione immediata di corridoi umanitari può essere una soluzione, insieme a un posto dove stare. Senza dimenticare chi è intrappolato nella rotta tra Iran e Croazia, ogni notte a giocare il Game, la roulette russa dove se vinci vai avanti altrimenti ti ributtano indietro. Nargis e la sua famiglia sono riusciti a passare in Francia nella notte successiva, non l’ho più rivista. Spero che la Germania sia vicina, buona vita Nargis.

(paolo narcisi, presidente Rainbow4Africa)

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