Sono trascorsi dieci anni da quando l’articolo 5 del decreto-legge n. 47/2014, il famigerato PIANO CASA Renzi-Lupi, è diventato effettivo. Da allora questa legge ha escluso dall’anagrafe le persone costrette ad accettare affitti in nero e chi ha occupato abitazioni per necessità, ha impedito a migliaia di famiglie di poter veder riconosciuti i propri diritti fondamentali. Infatti, in Italia il diritto di voto e l’accesso a misure di welfare essenziali - tra cui l’iscrizione al servizio sanitario nazionale e la conseguente assegnazione di un medico di base, la piena partecipazione al sistema di istruzione e l’iscrizione ai centri per l’impiego - così come la fruizione di servizi pubblici come l’allaccio alle utenze di acqua, luce e gas, nonché l’ingresso nella graduatoria per ottenere un alloggio popolare, sono legati all’iscrizione anagrafica. Ma non solo, alle persone non italiane l’articolo 5 ha impedito di maturare i requisiti per ottenere la cittadinanza e, per effetto delle prassi illegittime sviluppate da molte Questure, ha ostacolato il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. L’articolo 5 rappresenta una grave violazione dei diritti fondamentali. Questa norma ha peggiorato radicalmente la qualità della vita di moltissime persone e ha contribuito ad aumentare la loro marginalizzazione sociale.
Per questo molte organizzazioni, movimenti, accademici e rappresentanti istituzionali lanciano oggi e promuovono l'appello Diritti, libertà, uguaglianza per la cancellazione dell’articolo 5. L’occasione dei dieci anni dalla conversione in legge della norma è simbolica e ha spinto tutte le organizzazioni e le persone firmatarie a chiedere con forza la sua cancellazione, obiettivo prioritario per dare finalmente accesso ai servizi e ai diritti legati all’iscrizione anagrafica a quanti ne sono stati esclusi finora.
Anche le istituzioni otterrebbero un netto vantaggio da questa cancellazione. Allo stato attuale, i registri anagrafici - funzionali alla corretta programmazione delle politiche territoriali - non sono in grado di fornire informazioni precise e accurate circa l’insieme effettivo delle persone che dimorano abitualmente in un determinato contesto territoriale o che, prive di una dimora abituale, vi sono comunque legate in senso anagrafico. La cancellazione dell’articolo 5 renderebbe la qualità dei registri anagrafici significativamente migliore, con benefici rilevanti per le politiche pubbliche.
Per tutte queste ragioni le persone e le organizzazioni firmatarie, tra le quali anche il Gruppo Abele, scrivono ai partiti e alle forze politiche: “a dieci anni dalla sua introduzione, è tempo di cancellare l’articolo 5 dal nostro ordinamento. Le donne e gli uomini, i bambini e le bambine escluse dall’esercizio dei diritti fondamentali non possono più aspettare”.