
Il fondatore del Gruppo Abele e di Libera racconta la sua visione, dal passato al presente, sulle pagine del quotidiano torinese: «Mi pare una politica succube del consenso, cioè più attenta a costruire un futuro per se stessa che non per il Paese. Una politica che quindi fa leva sulle preoccupazioni della gente invece di provare ad affrontarne le cause. Così i problemi restano lì, e passa l'idea che alcune situazioni, povertà crescenti, precarietà del lavoro, tagli alla sanità, sovraffollamento delle carceri, solo per citarne alcune, siano immutabili. Invece, l'avvenire è dove scegliamo di andare. Siamo noi a decidere che forma dare al nostro tempo, se quella della paura o della speranza! Dobbiamo ritrovare fiducia negli strumenti della democrazia, a partire dal voto, ed esigere una politica che sappia trasformare le situazioni critiche,non cavalcarle a fini elettorali».