NotizieUn 25 aprile di liberazione ma con meno libertà

La testimonianza di Giangi, ospite della nostra comunità papà/bimbo sul senso di questo 25 aprile del tutto particolare che rinnova l'impegno verso gli ideali di libertà

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25 aprile 2020. Festa della liberazione. Una celebrazione quest’anno diversa. Non la possiamo festeggiare. No, meglio: non possiamo festeggiarlo in piazza.
Però anche perché non siamo del tutto liberati. Qualcuno occupa le nostre giornate. Chi? Un occupante invisibile, arrivato da lontano e in silenzio. All'inizio qualcuno s'era sforzato a rassicurarci: l'avevano definita un’influenza più cattiva. Così questo nuovo occupante, a cui nel frattempo abbiamo dato un nome, Covid_19, ha avuto il tempo di replicarsi fino a fare dell'Italia il Paese più colpito in Europa, uno dei primi al mondo.

Ne hanno fatto le spese soprattutto i nostri anziani. Il virus li ha presi e se li è portati. I nostri nonni, la nostra memoria, in silenzio, avvolti in lenzuola bianche, senza un ultimo saluto dei familiari. Se ne sono andati e se ne vanno quelli che hanno avuto una vita umile fatta di lavoro, di privazioni, di sacrifici, quelli che hanno vissuto la seconda guerra mondiale, scappando nei rifugi antiaerei, ricercando un tozzo di qualcosa per sfamarsi. Se ne va la generazione che il 25 aprile del 1945 l'ha vissuto da protagonista, da resistente o anche solo da spettatore della Storia. Se ne sono andati e se ne vanno quelli che hanno spostato macerie con le mani, piegato ferro, impastato cemento, col cappello di carta e in canottiera sotto il sole cocente. Se ne sono andati e se ne vanno facce con rughe profonde, mani indurite dai calli, memorie di giornate che non finivano mai, per mantenere la loro famiglia, i loro figli, noi. Se ne sono andati e se ne vanno quelli che ci hanno consegnato quel boom economico, quelli che col sudore hanno ricostruito questa nostra nazione martoriata da idee politiche antidemocratiche, regalandoci quel benessere di cui abbiamo approfittato impunemente.

Se ne vanno valori ormai dimenticati, il rispetto, la pazienza, la comprensione, l’esperienza. Se ne sta andando la memoria storica di migliaia di individui, senza una carezza, senza un bacio, uno sguardo. Quello che posso fare io e che spero facciano i 60 milioni di italiani, è accompagnarli in questo ultimo viaggio con il dire “grazie” con tutto il cuore.

La liberazione da questo male è ancora lontana. L’unico modo di combattere questo nemico subdolo è non incontrarlo. Lo stato ci ha imposto il metodo: #iorestoacasa. Giusta precauzione, ma con non poche e insignificanti conseguenze: la diminuzione degli spazi di libertà e il reddito. Tutte le attività chiuse, meno che quelle essenziali. Tutti a casa, anche dal lavoro. Anche dalla scuola, con le lezioni relegate su internet. Sempre che si abbia il privilegio di avere accesso agli strumenti digitali e non per tutte le famiglie questo è possibile. In ogni caso, laddove almeno ci sono le possibilità, la fortuna dei tempi è che la generazione dei nostri figli è nata digitale. Se ne intendono più loro di noi. Eppure a loro mancano gli scherzi durante l’intervallo, la relazione con i compagni, i confronti, persino i rimproveri degli insegnanti, le risposte alle domande sulle materie, il sacrificio di alzarsi al mattino, gli orari cadenzati, i compiti e le lezioni alla vecchia maniera.

Cosa ci resterà di tutto questo quando finirà? L’uomo avrà imparato la lezione? Intanto gli animali ci vengono a trovare nelle città deserte, quasi a volerci dare un mano, noi che li abbiamo relegati nei pochi boschi rimasti. O negli zoo, noi che ci credevamo padroni del mondo. L’uomo che scopre le città senza smog, con il cielo terso che ci permette di vedere le nostre montagne, la riscoperta dell'intimità e della prossimità.

La liberazione è ancora lontana, ora si sta discutendo timidamente della ripresa della vita normale. Si vogliono aprire alcune attività, facendo attenzione al fatto che non si ritorni indietro alla situazione precedente, cioè ai contagi incontrollati. Si useranno le mascherine e i guanti chissà ancora per quanto tempo per proteggerci da questo piccolo, minuscolo nemico, ma così potente da averci costretti in ginocchio. Ci ha tolto l’abbraccio, il bacio, la stretta di mano. Ci si saluta coi piedi. Chi l’avrebbe detto?

La normalità sarà accessibile dopo il vaccino. Forse fra un anno, anche se 20 aziende lavorano alacremente per trovarlo. Nel frattempo esplode la solidarietà umana. Associazioni di volontariato si sono messe a distribuire pacchi viveri alle famiglie più disagiate. Lo stato garantisce 600 euro alle famiglie e alle attività chiuse.

Questa situazione cosa ci può insegnare? Ci fa riflettere che la vita è e sarà completamente cambiata rispetto a quella prima della pandemia. L’uomo sociale dovrà per molto tempo rinunciare ai contatti fisici e agli assembramenti della folla, addio alle vasche nelle vie del centro, al riversarsi in massa nei centri commerciali, al riempimento massiccio nelle spiagge. Ma avremo tutti la grande opportunità, dopo questo primo momento di sconcerto, di ritrovare quei valori che prima non apprezzavamo. Si riscoprono la gentilezza, la tolleranza e il rispetto, per alcuni la preghiera fra le mura domestiche, il ritrovare, seppure telefonicamente, amici e parenti lontani. Ora non possiamo più dire: “non ho più tempo”. Intelligentemente approfittiamone per riflettere cosa ci siamo persi finora e riprendiamoci l’essenza della vita, lontani dallo stress del lavoro, degli orari e degli impegni quotidiani. Saremo capaci di osservare la natura che imperterrita lascia il posto all’evolversi delle stagioni, a goderci un tramonto, alle nuvole che costruiscono strane figure? Guarderemo con occhio diverso il clochard che volutamente o non volutamente è all’angolo del marciapiede, perdoneremo il vicino che magari ci dà una spinta involontaria? Ma soprattutto saremo capaci di far tesoro di quelle cose buone che la situazione attuale ci può dare, daremo più spazio alla famiglia, ai figli, al vicino o alla vicina, che prima magari neanche conoscevamo?

Come scriveva il Manzoni: "Ai posteri l’ardua sentenza".

(di giangi, ospite del gruppo appartamento papà/bimbo del gruppo abele)

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