scarpe rosse

NotizieLa violenza contro le donne è una questione sociale

Lottare contro le dinamiche da cui si genera la violenza è una responsabilità che abbiamo tutte e tutti. Perché un problema tanto importante non si riduca a uno spot lungo appena un giorno

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1550. Sono, secondo la Questura di Torino, i casi di violenza contro le donne dei primi 10 mesi del 2022. “Casi”, siamo abituati a sentirli catalogare così, come se dietro ciascun episodio di violenza non ci fossero persone in carne, ossa ed emozioni, private della dignità, della libertà, costrette a una vita schiava, senza futuro e nemmeno presente. “Casi”, perché è più semplice, a riprova che anche la retorica sulla violenza è a sua modo e a sua volta violenta.

Ma la violenza di genere non è una questione personale, bensì una responsabilità sociale. 1550 volte non sono state offese solo singole persone, ma un’idea di comunità e di società fondata sull’uguaglianza, sulla parità, sul diritto. 1550 sono stati i passi indietro che tutti abbiamo compiuto e 1551 quelli che toccherà a tutti fare.

Lottare contro la violenza significa quindi innanzitutto costruire dei percorsi di prevenzione e culturali, che oltre a dare risposte immediate di protezione siano sul lungo termine perché le “vittime” non restino “vittime” per sempre e gli autori di violenza non restino violenti senza altra possibilità.

Come Gruppo Abele lavoriamo ogni giorno contro tutte le manifestazioni di violenza, fisica o psicologica, che generi o meno dipendenza affettiva: accogliendo donne con i propri figli alla ricerca di una situazione protetta; stando al fianco delle vittime di reato o di sfruttamento e tratta nel loro percorso di denuncia o di emersione; garantendo spazi e tempi di autonomia dove le donne, attraverso la conoscenza, la formazione e il lavoro possano realizzarsi.

Siamo tuttavia consapevoli che il nostro intervento sia solo una parte. Perché si generi un reale cambiamento di rotta servono – ed è quello che torniamo a chiedere – interventi politici strutturali. I sostegni economici per le vittime che denunciano sono insufficienti e il reddito di libertà, seppure importante, non basta e non copre che una minima frazione del necessario. D’altronde per molte donne la denuncia significa rinunciare a tutto per sé e per i propri figli, perdere la casa, il sostentamento economico, la rete familiare e amicale. “E ora? Che faccio se non ho nemmeno un posto dove stare?” è la domanda più ricorrente che in molte ci pongono.

C’è da lavorare sui contesti familiari come forma di prevenzione, portando donne vittime e uomini autori di violenza a prendere consapevolezza di quel che sta accadendo e che potrebbe accadere. In questo senso, come Gruppo Abele siamo stati tra i primi a sollevare la questione dirimente del lavoro con gli uomini che agiscono violenza perché anche per loro si potessero preveder percorsi di uscita. D’altronde il trattamento degli uomini autori di violenza è di cruciale importanza per la sicurezza delle donne che ne sono vittime, perché può ridurre il rischio di recidiva e bloccare l'escalation delle condotte di maltrattamento prima che queste possano sfociare in eventi drammatici.

Bene dunque “celebrare” il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Meglio sarebbe però non limitarsi ai proclami giornalieri, a ridurre un fenomeno drammatico alla dichiarazione di qualche ora.

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