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NotizieIn strada con i ragazzi per riaccendere la voglia di vivere, studiare e lavorare

Sul complicato rapporto tra giovani e lavoro e sull'allontanamento dallo studio e dalla partecipazione abbiamo intervistato Nicola Pelusi dell'Educativa di Strada del Gruppo Abele, che dal 2007 porta avanti progetti di aiuto e ascolto dei giovani nelle periferie di Torino

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Quasi un italiano su quattro sotto i trent’anni non studia e non lavora. Nel 2021 infatti secondo l’Istat è rientrato nella categoria Neet (Not in education, employment or training) il 23.1% dei giovani tra i 15 e i 29 anni. Il dato, contenuto nell’ultima edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) elaborato dall’istituto di statistica, rivela un aumento del fenomeno che nel 2019, prima della pandemia, era al 22.1%.
Sempre dall’indagine Bes emerge che se nel 2019 il numero di laureati e l’impegno nelle associazioni di volontariato erano ancora in costante aumento, nell’ultimo biennio la tendenza si è invertita.
Sul complicato rapporto tra giovani e lavoro e sull’allontanamento dallo studio e dalla partecipazione abbiamo intervistato Nicola Pelusidell’Educativa di Strada del Gruppo Abele, che dal 2007 porta avanti progetti di aiuto e ascolto dei giovani nelle periferie di Torino.

I numeri dell’Istat disegnano uno scenario poco incoraggiante. Tutta colpa del Covid?
“Non solo. La pandemia ha avuto gravi impatti sociali ed economici in quei contesti che erano già fragili. Ha amplificato le sofferenze dei ragazzi da diversi punti di vista.
È importante fare un ragionamento strutturale, i fattori sono molteplici e non sono neanche facili da individuare: ci sono territori con criticità storicamente radicate come la povertà economica, lo scarso investimento educativo e di risorse di accompagnamento e inclusione sociale per i giovani e le famiglie, le problematiche intra-familiari che i ragazzi vivono, le case dove vivono: spesso in famiglie numerose senza uno spazio per studiare in tranquillità o per starsene tra i propri pensieri. O, ancora, l’abbandono e la scarsa manutenzione degli spazi pubblici di aggregazione.
A Torino si investe poco nel ripristino dell’arredamento urbano, ma questi spazi sono fondamentali perché i ragazzi possano trovarsi a giocare, parlare, confrontarsi tra di loro. Se le istituzioni non contribuiscono a rendere più belli e curati gli spazi collettivi dei giovani nei quartieri, questi spazi diventano “brutti”. E il brutto chiama indifferenza ed egoismo individuale. Noi combattiamo per costruire bellezza con i giovani ed è difficile solo con le nostre forze”.

Cresce il numero di ragazzi che non studiano e non lavorano. È una scelta sempre più diffusa anche tra i giovani torinesi? Perché?
“Anche in questo caso il Covid ha amplificato un fenomeno sociale già presente. Noi vediamo che il numero dei Neet sta aumentando, ha spento in alcuni ragazzi la voglia di appassionarsi alla vita e di contribuire allo sviluppo della società, occorre riaccendere e stimolare questa voglia. È difficile, ma è una sfida sociale che va raccolta da tutti: istituzioni, cittadini e associazioni".

La casa dei genitori viene lasciata sempre più tardi, anche perché sono sempre meno i ragazzi che riescono a rendersi lavorativamente autonomi. Come occorrerebbe intervenire?
“Certo, il problema è economico, ma non solo. Vediamo molti ragazzi che vogliono andare via presto di casa, anche appena diciottenni. E che magari iniziano anche a lavorare, ma che devono aiutare le famiglie con le bollette. La politica dovrebbe investire di più nei co-housing giovanili, a prezzi calmierati perché si possa iniziare a emanciparsi dalla famiglia. Così anche chi guadagna 400/500 euro al mese come fattorino potrebbe permettersi di avere una casa dove vivere”.

(emanuele orrù)

In questo articolo Famiglie, Giovani, Lavoro

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