Una città dove nessuno è straniero

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All'interno del progetto Liberi di Crescere abbiamo promosso uscite per ragazzi e ragazze di origine straniera ricongiunti ai propri familiari. Il racconto di Francesco Minsenti, operatore di strada del Gruppo Abele

di Francesco Minsenti
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Quando si parla di migrazioni si parla poco di ricongiungimento familiare
Nell'Italia che s'accapiglia sul senso giusto da dare alla famiglia, il ricongiungimento familiare è un processo lungo e faticoso, un percorso a ostacoli fatto di burocrazia, requisiti, documenti, scadenze. 
Nella pratica, questo significa famiglie disgregate: madri senza figli, mariti senza mogli, bambini affidati a parenti più o meno prossimi, in attesa di redditi migliori, case migliori, tempi migliori. 

Il ricongiungimento, quando finalmente è possibile, non avviene senza ricadute emotive, specie per i minori.
Lo vediamo tutti i giorni con le studentesse e gli studenti della Viotti, scuola secondaria di primo grado della periferia nord di Torino, dove il Gruppo Abele da tre anni è presente attraverso il progetto Liberi di Crescere contro la povertà educativa, finanziato dalla Fondazione Con i bambini.

In questo Istituto incontriamo tanti preadolescenti che, in un momento di per sé critico della crescita, si trovano alle prese con una migrazione spesso non desiderata, ma percepita come uno sradicamento.

Sradicamento significa sentire venir meno ogni appartenenza comunitaria, perdere il contatto con quello che era il proprio mondo di riferimento, a partire dagli spazi fisici

Lo sradicamento genera paura, insofferenza, isolamento e questi, a loro volta, incidono in negativo sui percorsi di studio, abbandonati spesso per carenza di fiducia, piuttosto che per difficoltà o scarsa volontà di apprendere. Il sistema scolastico, da solo, non sempre è attrezzato e pronto a riconoscere le storie, le risorse e i linguaggi che questi minori portano con sé. E il mancato riconoscimento genera malessere e isolamento, percorsi formativi al ribasso, un disagio che si esprime, oltre che nella dispersione scolastica, in episodi di violenza o forme di ritiro sociale.

Ecco allora l'urgenza di favorire un legame più autentico tra questi ragazzi e ragazze e l'ambiente nel quale si sono trovati catapultati. Ed ecco la ragione per cui nel percorso educativo, accanto al rafforzamento delle capacità linguistiche, abbiamo messo al centro le attività di uscita dalla scuola e dai confini fisici e mentali dell’aula scolastica.

A partire dal quartiere e poi tutt'intorno, fino al centro città, abbiamo costruito familiarità: con le strade, i servizi e i monumenti certo, ma anche con gli accenti e con i volti.

Esperienze necessarie sebbene sottovalutate, determinanti per (ri)attivare il desiderio di scoperta e apprendimento, capaci di muovere altri processi sociali e motivazionali.

Esplorare nuovi spazi o rivedere quelli già noti insieme agli altri, pedalare al Parco della Mandria, scoprire che esiste una spiaggia a Torino, al Parco del Meisino, ha aiutato i giovani studenti da poco ricongiunti alle famiglie a guardare la città da un’altra prospettiva. Aiutandoli a percepirla propria, un luogo dove far mettere radici ai propri sogni. 

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