Per quattro anni siamo stati Liberi di Crescere

Il progettoPer quattro anni siamo stati Liberi di Crescere

Si è concluso a fine giugno Liberi di Crescere, un progetto contro la dispersione scolastica che ha coinvolto 5 città in Italia. A Torino l'impegno del Gruppo Abele nella periferia nord

di Francesco Minsenti
  • Condividi

Povertà educativa. Dispersione scolastica. Abbandono. Fallimento negli studi. 

Temi, argomenti di riflessione, problemi personali e insieme sociali. Questioni aperte e ferite altrettanto mai cicatrizzate, di cui si parla ma perlopiù restando nel vago, ridotte a problemi da periferia lontana, sullo sfondo di una società che ha l'obbligo di andare avanti, produrre, fare cassa, foss'anche sulla pelle delle giovani generazioni. 

Povertà scolastica è più di una definizione formale: è la violazione reale di diritti inalienabili. L'istruzione, ma anche il gioco, l'accesso ai processi culturali di un territorio, la libera formazione. La domanda, quindi, è: si è liberi, senza questi diritti?

Risposta facile, per quanto devastante: no. Dove esiste povertà educativa viene oltraggiata la libertà: di una persona, certo, ma anche di una comunità locale che si priva di un'intelligenza, di una fantasia, di un pensiero di futuro. 

Liberi di Crescere è il progetto nazionale, realizzato grazie al contributo della fondazione Con i Bambini, che ha provato a fornire piccole risposte di metodo, le cui azioni vi abbiamo spesso raccontato su questo sito. Dentro le scuole e fuori di esse, perché si fa educazione nelle comunità e non tra mura e confini definiti. A Torino, il progetto è stato portato avanti dal Gruppo Abele con una metodologia outreach nella periferia nord di Barriera di Milano, dove già da tempo operiamo con strutture di accoglienza in bassa soglia e dove il coefficiente di rischio abbandono scolastico è tra i più alti in città. 

Quattro anni di lavoro in sinergia con altre organizzazioni che hanno avuto come punto fermo e di partenza due scuole: la secondaria di primo grado Viotti e l'alberghiero Beccari. Tempo lungo che ci ha permesso di lavorare a contatto diretto con le criticità ma anche con le possibilità di un territorio troppo spesso banalmente catalogato alla voce "quartiere a rischio"; tempo in cui storie, domande e pratiche si sono incontrate dentro e fuori dalle aule, con potenza sovversiva. È in questi luoghi e nei loro tanti interstizi, nei tempi e relazioni formali e informali con gli attori che abitano e circondano la scuola che, in punta di piedi, ci siamo inseriti come équipe di lavoro. Quattro anni dopo, a fine percorso (Liberi di Crescere è terminato ufficialmente a giugno 2023), quel che resta è la pratica di un progetto che ci ha costretti a mettere in discussione il nostro modo consueto di operare, obbligandoci a elaborare e rielaborare reti e modalità d'intervento, a sovvertire sguardi e azioni, ad acquisire nuove esperienze. 

  • Con gli sportelli di ascolto abbiamo potuto accogliere la domanda di ragazzi e ragazze, semplice quanto spesso ignorata, di essere ascoltati e di potersi confrontare con un adulto in maniera libera e sicura. Attraverso gli sportelli, con un approccio psico-educativo e non giudicante, ci siamo potuti aprire e avvicinare alle storie di molti giovani, potendo in tal modo riorientare, in maniera dinamica, il pensiero e le progettualità in virtù dei bisogni, delle domande e dei desideri che intercettavamo.
  • Nei corsi di alfabetizzazione L2 abbiamo costruito didattiche partecipate e interculturali che, uscendo dalle mura fisiche e simboliche della scuola, riconoscessero e valorizzassero vissuti, risorse e fragilità di ragazzi e ragazze, per la maggior parte ricongiunti ai genitori in Italia soltanto in età preadolescenziale, altrimenti invisibili e misconosciuti dalle istituzioni. Sono soprattutto i giovani stigmatizzati dall'opinione pubblica ed esclusi da procedure e modelli culturali all'interno dello stesso sistema scolastico. Sistema che, lungi dall'essere il primo scalino sul cammino dell'ugugaglianza, diviene un meccanismo riproduttore di iniquità, che prende destini e li schiaccia all'inevitabilità di un futuro già scritto fatto di esclusione.  
  • Il lavoro dell’équipe si è concentrato anche molto sulle sanzioni disciplinari e sulla ricerca di un'alternativa: troppo spesso abusate e del tutto prive di senso educativo, scorciatoie per “punire” o liberarsi di ragazzi e ragazze considerati problematici e non conformi alla scuola, sono una delle maggiori cause dell'abbandono scolastico. Il tempo morto, spesso lungo o molto lungo, della sospensione, finisce per essere mortifero per chi già fatica a individuare il suo posto all'interno della scuola, o porta avanti gli studi tra mille dubbi, problemi e avversità. In questo senso, coinvolgendo famiglie e insegnanti, abbiamo strutturato proposte alternative, capaci di far esplodere talenti e interessi, oltre a ravvivare il ruolo sociale di ragazzi e ragazze costretti all'etichetta e al ruolo del "cattivo". Progetti, ad esempio, come quello dell'ortocultura a scuola o di volontariato all'interno della Drop House sono stati pensati per attivare processi di consapevolezza e di responsabilità sociale verso spazi comuni e persone.
  • Con i laboratori nelle classi e gli spazi di supporto compiti abbiamo tentato di comprendere e rispondere a quell’atmosfera scolastica in cui sono immersi studenti e studentesse, fatta di richieste, modalità e standard percepiti come ostili, inutili ed escludenti. Percezioni che sono non di rado condivise dagli insegnanti che si trovano ingabbiati in programmi, valutazioni e burocrazie lunghe e complesse, smarrendo il senso e i “destinatari” del proprio lavoro. Perciò, sconfinando le routine scolastiche, anche insieme e con l'aiuto del corpo docente, abbiamo cercato di rendere ciascun ragazzo e ciascuna ragazza reale protagonista del prorpio percorso. La maggior parte delle richieste degli insegnanti e, indirettamente, degli studenti e delle studentesse, riguardavano la gestione delle emozioni e il bisogno di apprendere strategie, competenze e strumenti alternativi a quelli dell'aggressività (auto ed eterodiretta), da adottare nelle situazioni conflittuali in classe e fuori da questa, con i pari e talvolta con i docenti.
  • La rigenerazione urbana e la progettazione e cura degli spazi si sono rivelate nel corso di questi anni altre sfide nodali da affrontare. Con sguardi curiosi e critici rivolti alle realtà interne ed esterne della scuola sono stati sperimentati con i giovani pratiche e modelli inediti di cittadinanza attiva: mediante, ad esempio, le passeggiate monitoranti di Common e la realizzazione di murales e orti scolastici. Assumendo una prospettiva ampia e complessa è stato possibile produrre un senso e impatto sistemico aggiunto intorno ai percorsi di crescita e partecipazione di giovani, famiglie e comunità, congiungendosi agli orizzonti educativi entro cui si muove attualmente la rete NOE nel quartiere Barriera di Milano. Infine, le riflessioni e le pratiche non si sono mai fermate al quartiere e alla città di Torino: esse hanno potuto circolare, essere riformulate e condivise costantemente attraverso il dialogo con le altre quattro città coinvolte nel progetto (Genova, Salerno, Messina e Palermo), all’interno dei tavoli nazionali e degli incontri interdisciplinari con insegnanti, operatori e operatrici, studenti e studentesse, coordinatori e coordinatrici di ciascuna città. L’emersione di bisogni e desideri, la riflessione sul senso e sui fenomeni osservati in ogni contesto, la ridefinizione degli obiettivi e la ricerca critica e costante tra città, scuole ed équipe è stata anche possibile attraverso i laboratori maieutici di Autoanalisi ispirati a Danilo Dolci e condotti in almeno due momenti durante ogni annualità da Amico Dolci e dal Centro per lo sviluppo creativo Danilo Dolci.

Alla fine di tutto questo, restano le azioni fatte e le visioni che ne sono scaturite. Ma soprattutto rimangono le domande sociali cui non si risponde in così poco tempo. D'altronde, lo sapevamo all'inizio di Liberi di Crescere, e ne siamo solo ancor più certi ora, non sarà un progetto, per quanto ampio e partecipato, a poter metter un punto sulla questione abbandono scolastico. Serve la politica e occorrono scelte culturali decise, che possono nascere, questo sì, proprio da quelle domande emerse e che da troppo finiscono in fondo alle agende di priorità di ogni governo. 

Ti potrebbe interessare